Il processo grazie al quale il cervello trasforma una sequenza di azioni in una routine automatica è chiamato chunking (Rif.). Ogni giorno ripetiamo decine, se non centinaia, di comportamenti di questo tipo. Alcuni sono semplici, per esempio allacciarci le stringhe delle scarpe. Altri, come preparare il pranzo o la cena, sono un po’ più complicati. Altri ancora sono così complessi che il fatto che siano diventati abitudini ci sembra incredibile.
Guidare, per esempio, durante il periodo della scuola guida, è un processo pieno di attenzione e scrupoli ma quando poi si inizia a prendere confidenza con l’automobile, diventa una piacevole e comoda abitudine e si dimentica quanto si era concentrati a controllare la traiettoria del veicolo tramite il volante, regolare la velocità con l’acceleratore, guardare lo specchietto retrovisore per mettere la freccia prima di svoltare o sorpassare, calcolare la frenata, ecc… .
Come scrive Charles Duhigg (Rif.) “Se lo lasciamo fare, il cervello cerca di trasformare tutti i comportamenti ripetuti in abitudini, perché così si sforza di meno. Ma questa tendenza a conservare l’energia mentale può essere pericolosa, perché se il nostro cervello va in automatico nel momento sbagliato, potremmo non accorgerci di qualcosa di importante, come un bambino che attraversa la strada in bici o una macchina che arriva a tutta velocità. Perciò abbiamo inventato un sistema per decidere quando possiamo agire automaticamente. È qualcosa che scatta all’inizio e alla fine di un segmento di comportamento, e ci aiuta a capire perché, anche con le migliori intenzioni, è così difficile cambiare un’abitudine”.
“Il processo di formazione delle abitudini è formato da tre fasi.” – prosegue nel suo testo Duhigg – “Prima di tutto c’è uno stimolo che dice al nostro cervello che può andare in automatico e quale sequenza deve usare. Poi c’è la routine, che può essere fisica, mentale o emotiva. Infine c’è la gratificazione, che aiuta il cervello a capire se vale la pena di ricordare quella sequenza in futuro. Nel corso del tempo, questo ciclo – stimolo, routine, gratificazione, stimolo, routine, gratificazione – diventa sempre più automatico. A livello neurologico, lo stimolo e la gratificazione si legano strettamente tra loro fino a quando non si instaura il desiderio. L’aspetto particolare di questo meccanismo è che gli stimoli e le gratificazioni possono essere molto sottili. Alcuni studi neurologici hanno dimostrato che certi stimoli durano solo qualche millesimo di secondo. E le gratificazioni possono andare dalle più ovvie (come l’innalzamento del livello glicemico provocato dalla ciambella che mangiamo al mattino) alle più insignificanti (come il senso di sollievo impercettibile, ma misurabile, che proviamo quando sorpassiamo un ciclista). Nella maggior parte dei casi tutto succede così rapidamente che non ce ne rendiamo conto. Ma il nostro sistema neurale se ne accorge e usa queste sequenze per costruire comportamenti automatici”.
Le abitudini non sono immutabili. Possono essere ignorate, modificate o sostituite. Ma quando abbiamo fissato una sequenza e acquisito un’abitudine, il cervello smette di intervenire nelle decisioni (Rif.). Perciò, a meno che non decidiamo di combattere quell’abitudine, cioè di trovare una nuova sequenza, la vecchia si ripeterà automaticamente.
Alcuni esperimenti hanno dimostrato che quasi tutti gli stimoli rientrano in cinque categorie: luogo, tempo, stato emotivo, presenza di altre persone o azioni immediatamente precedenti. Quindi per capire cosa scatenava un determinato desiderio, nel momento in cui ne sentiamo il bisogno dobbiamo cominciare a rispondere a queste cinque domande:
Dove sei?
Che ore sono?
Qual è il tuo stato emotivo?
Chi c’è con te?
Cosa hai fatto prima?
Quando scopriamo, per esempio, che il nostro desiderio di caffè si scatena in ufficio, alle 11.00 del mattino di tutti i giorni mentre stiamo lavorando al computer da soli e abbiamo appena finito di rispondere alle email dei clienti, potremmo cercare di modificare l’abitudine alzandoci alle 11.00 dalla scrivania e dirigendoci, al posto che verso la macchinetta del caffè, da un collega a fare quattro chiacchere.
Per modificare un’abitudine quindi è necessario:
– prendere una decisione;
– armarsi di forza di volontà;
– sforzarsi consapevolmente di identificare i segnali e le gratificazioni che guidano le routine per trovare delle valide alternative.
Vi domanderete perché sia utile essere consapevoli delle proprie abitudini e in grado di modificarle a nostro piacimento, è semplice perché le abitudini vengono accuratamente studiate da chi detiene il potere e da chi ha bisogno delle vostre abitudini per arricchirsi. I primi cercano di creare narrazioni accettabili per noi ma che portino il maggior vantaggio politico per loro. I secondi per farvi scoprire bisogni da colmare con i loro, spesso inutili, prodotti di consumo.
S.S.
]]>C’è un ulteriore livello che però sfugge alla maggior parte delle persone, forse perché poco “romantico” oppure perché invisibile magari di proposito: la guerra delle idee e cioè lo scontro tra le varie ideologie.
Quando le proteste dei giovani misero in crisi gli Stati Uniti negli anni della guerra in Vietnam, tutto nacque da nuove idee che si diffusero nelle università, negli ambienti intellettuali e in quelli dei moderati e si diffusero così velocemente che l’immagine dell’America come salvatrice dal comunismo cominciò ad incrinarsi.
Per avere una guerra ci vogliono due fronti opposti e sul piano delle idee e non delle armi o dell’elettronica, l’altro schieramento che dobbiamo prendere in considerazione e che diventò l’antagonista dei movimenti progressisti, nacque anch’esso più o meno nello stesso periodo.
Tutto cominciò nel 1969 per mano di un grande imprenditore di nome Jhon Merril Olin, la cui corporation vendeva soda caustica, defolianti, armi e munizioni per l’esercito e della sua Fondazione. Come reazione alle proteste per razzismo nei confronti della Cornell University (Rif.), in cui Olin studiò da ragazzo, che portarono all’occupazione della stessa da parte di militanti della Afro-American Society, la Fondazione Olin venne consacrata all’obbiettivo di “riportare le università all’ordine” e nei 36 anni successivi, distribuirà “fondi per più di 370 milioni di dollari alle cause del liberismo estremo”. Da quel momento lo schieramento reazionario e difensore dell’American Way of Life prese vita e si diffuse anche tra gli imprenditori e gli ambienti politici loro affini.
Nel 1971 la Camera di Commercio degli Stati Uniti riceve un memorandum (Rif.) da tale Lewis F. Powell Jr., avvocato “specializzato nella difesa delle industrie del tabacco”. Il suo memorandum confidenziale si intitola: Attacco al sistema americano di libera impresa. Non ci sono solo gli estremisti col fucile e i militanti socialisti: la American Way of Life è minacciata anche dai moderati. “Le voci più inquietanti che si uniscono al coro delle critiche vengono da elementi rispettabili della società: dai campus, dai college, dai pulpiti, i media, le riviste intellettuali e letterarie, le arti, le scienze, i politici.” La società sta andando a sinistra, la New Left è capace di “radicalizzare migliaia di giovani”, ma la cosa più preoccupante di tutte è “l’ostilità dei liberals rispettabili e l’influenza dei riformisti. È la somma totale delle loro opinioni e influenze che potrebbe fatalmente indebolire e distruggere il sistema”.
Powell suggerisce che si dovrebbe “condurre una guerra di guerriglia [guerrilla warfare] contro chi fa propaganda contro il sistema cercando insidiosamente e costantemente di sabotarlo”. I “portavoce del sistema dell’impresa” devono diventare “molto più aggressivi che in passato”. In primo luogo devono puntare alla conquista delle università, perché “è il campus la singola fonte più dinamica” dell’attacco al sistema dell’impresa. Il fatto è che poi i laureati vanno a lavorare nei mass media, nel governo, nelle scuole, nell’editoria. Bisogna cambiare la loro testa perché le loro idee non operino poi contro gli interessi dell’impresa”.
Un altro presidente della Fondazione Olin, William E. Simon, già ministro del Tesoro per Nixon, darà una definizione a tale “guerrilla warfare” citata da Powell: “counter-intellighentsia” (Rif.), concetto ispirato alla nozione militare di counter-insurgency (Per insurgency si intendeva solo le ideologie alternative a quella dominante). La spiegazione: “le idee sono armi – le sole armi con cui altre idee possono essere combattute”.
L’offensiva ideologica viene presa sul serio anche dalle alte sfere dell’esercito e come analizza nel suo splendido saggio “Dominio” ed. Feltrinelli di Marco D’Eramo, saggista e collaboratore di New Left Review e MicroMega: “l’offensiva ideologica, alla fine vincente, orchestrata da ricchissime fondazioni statunitensi, finanziate da grandi capitalisti del midwest, viene portata avanti per convincerci che non esistono capitalisti e operai, sfruttatori e sfruttati, ma soltanto ‘imprenditori di se stessi’, che siano miliardari o profughi su una barca diretta a Lampedusa”. Il liberismo imperante diventa religione e paladini di questa nuova religione lo divengono anche i generali e gli strateghi dell’esercito americano.
Nel “manuale ufficiale statunitense di controguerriglia (counter-insurgency)” (2007, firmato dai generali David H. Petraeus e James Ames)(Rif.) viene detto: “Le idee sono un fattore motivante […]. Le guerriglie [insurgencies] reclutano appoggio popolare attraverso un appello ideologico […]. L’ideologia del movimento spiega ai suoi seguaci le loro tribolazioni e fornisce un corso di azione per rimediare a queste sofferenze. Le ideologie più potenti attingono alle ansie emotive latenti della popolazione, come desiderio di giustizia, credenze religiose, liberazione da un’occupazione straniera. L’ideologia procura un prisma, compresi un vocabolario e categorie analitiche attraverso cui la situazione è valutata. Così l’ideologia può plasmare l’organizzazione e i metodi operativi del movimento”.
L’esercito americano, tramite i suoi strateghi, dimostra di comprendere che la battaglia delle idee, il rapporto e lo scontro fra le ideologie è fondamentale: “Il meccanismo centrale attraverso il quale le ideologie sono espresse e assorbite è la narrativa. Una narrativa è uno schema organizzativo espresso in forma di storia. Le narrative sono centrali nel rappresentare le identità […]” . E ancora: “La più importante forma culturale da capire per le forze Coin [counterinsurgency] è la narrativa […]. Le narrative sono i mezzi attraverso cui le ideologie sono espresse e assorbite dagli individui in una società […]. Dando ascolto alle narrative, le forze Coin possono identificare il nucleo dei valori chiave della società”. I due generali dell’esercito americano ragionano quindi su come i gruppi si formano e consolidano le proprie credenze, su come l’ideologia sappia dare alla vita delle comunità il tipo di racconto capace di connettere i fatti della vita dandogli un senso.
Questo punto di vista e le strategie che ne derivano, come si può facilmente dedurre, possono dar vita a condotte, da parte di coloro che detengono il potere, totalmente aberranti e l’esempio di Cambridge Analityca (Rif.) di qualche anno fa ne è l’esempio lampante.
I generali, difensori dello status quo per definizione, sanno che la narrazione chiamata mainstream, chiamata sistema, va coltivata e difesa in modo che continui a essere la forma di racconto della realtà preferita dalla gran parte della popolazione, i fondi per questo tipo di guerra ci sono e oltre che dalle tasse drenate ai cittadini provengono da “un pugno di miliardari dell’America profonda”, che si mettono, come Olin, a operare attraverso le loro Fondazioni. I nomi sono quelli letti anche in questi anni rispetto ai finanziamenti alle organizzazioni di estrema destra religiosa e politica, ci sono dentro i Coors, i Koch, i DeVos, ma l’aspetto più importante è la trasparenza delle loro operazioni.
Scrive D’Eramo: “Sia ben chiaro che qui non stiamo parlando di nessun complotto, non c’è nessuna dietrologia, nessuna conspiracy theory: tutto avvenne alla luce del sole, i movimenti di denaro sono accessibili a chiunque su bilanci ufficiali scaricabili in rete”.
I generali dei marines autori del manuale citato prima riprendono in pratica le due tesi fondamentali che aveva espresso il filosofo marxista francese Louis Althusser cinquant’anni fa: a) ‘L’ideologia è una rappresentazione del rapporto immaginario degli individui con le proprie condizioni reali d’esistenza’; b) ‘ogni ideologia ha per funzione quella di costituire gli individui in soggetti’ (nel caso del loro manuale, in ‘soggetti dell’insurrezione’)”.
Mi chiedo: dobbiamo continuare a lasciarli vincere?
S.S.
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