libertà – Swissact, il portale del Ticino. News e ultime notizie dal Ticino, Svizzera e estero. https://www.swissact.com News e ultime notizie in tutti i settori: politica, cronaca, economia, sport, svizzera, esteri Sun, 28 Feb 2021 17:34:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.7.11 Il peggior nemico dell’umanità è l’uomo, i peggiori nemici dell’uomo sono la politica e le banche https://www.swissact.com/il-peggior-nemico-dellumanita-e-luomo-i-peggiori-nemici-delluomo-sono-la-politica-e-le-banche/ Sun, 28 Feb 2021 17:17:14 +0000 https://www.swissact.com/?p=2869 Il peggior nemico dell’umanità è l’uomo, ed i peggiori nemici dell’uomo sono la politica e le banche.

Siamo vicinissimi ad un punto di non ritorno, negli ultimi 50 anni, tutti noi abbiamo permesso che la politica diventasse una forma di dittatura, un pezzettino alla volta nel corso di questi anni ci hanno tolto parte della nostra libertà individuale. Ci hanno convinto che tutto ciò che viene fatto è in favore del popolo e fatto per migliorare il nostro futuro! Ma in realtà è stato usato un metodo subdolo per privarci della libertà in cambio di qualche finta comodità, rendendoci schiavi del consumismo più inutile.

Il peggior nemico dell umanità é l'uomoOrmai la politica considera il popolo come un gruppo di sudditi che deve eseguire degli ordini. Le elezioni in qualsiasi parte del mondo, sono una farsa, In svizzera ad esempio quando il voto non soddisfa il governo, o non viene considerato, oppure in una delle varie conferenze stampa ci viene detto che il popolo non ha compreso il significato della votazione e pertanto non terranno conto del nostro voto! Incredibile.

Con quattro soldi e una promessa di un falso benessere siamo diventati tutti burattini nei confronti della politica.

Nella mia mente ho sempre pensato che la politica permettesse ad ogni cittadino tramite un suo rappresentante eletto di esprimere il proprio giudizio. Pensavo che tutte le persone elette dovessero battersi per rincorrere l’obiettivo degli elettori. Il politico doveva essere anche un mio rappresentante e non un semplice burocrate che con il passare del tempo ottiene il dono di onnipotenza.

Ebbene è di pochi giorni fa un’affermazione del consigliere Federale Guy Parmelin che diceva «Il popolo ha l’ultima parola in Svizzera» nulla di più falso, ormai i diritti del popolo vengono sistematicamente cancellati in favore di decisioni prese all’unanimità dal Governo.

Siamo giunti ad un punto dove il popolo non ha praticamente più diritti, pensiamo all’ultimo anno con la pandemia da Coronavirus, gestita in modo pressapochista e confuso, anche in questi casi di emergenza il governo ha tentato di dimostrare nuovamente che viviamo in democrazia, nella realtà vige una dittatura sanitaria dove il popolo sta subendo decisioni inspiegabili.

Grazie alla politica ormai il segreto bancario è una buffonata i nostri dati personali vengono utilizzati senza limiti, ci vengono imposte regole e contravvenzioni di ogni tipo, il tutto sempre ovviamente per il nostro bene!

 

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L’essere discontinuo ed il liberalismo realtá od ipotesi? https://www.swissact.com/lessere-discontinuo-ed-il-liberalismo-realta-od-ipotesi/ Mon, 18 Jan 2021 11:36:09 +0000 https://www.swissact.com/?p=2456 Se ogni fine rappresenta l’inizio di altro, ci riferiremo a Bataille che riteneva l’uomo “un essere discontinuo”, quale mortale. Questa definizione ci sembra appropriata per altri motivi, da un lato (ci sono sempre tante cose da sistemare, tante interferenze, interruzioni, messaggi vari e quasi simultanei se non contraddittori, necessità immediate siano pure fasulle) ancora sociali ma a livello individuale e abitudinario dall’altro, considerato che svolgere un’attività secondo un filo conduttore ininterrotto e coerente, non fa più parte del costume ordinario e assimilato da tutti, semmai questo tipo di razionalità ed efficacie fosse esistita una volta.

Discontinuo, di sicuro, e soprattutto perché come un fiume che rompe gli argini, al corso logico di qualsiasi discorso o azione, si sostituiscono considerazioni che non concernono chi ne subisce le conseguenze, pilastro delle nostre società sul piano economico.

Per esempio, guardare un film in televisione significa cinque o sei serie di messaggi pubblicitari che inquadrano e interrompono la trasmissione, di cui come se non bastasse, paghiamo il costo quando compriamo il prodotto in questione.
In altre parole, non più essere ritenuti persone, cittadini, qualsivoglia tipo di creature umane, ma consumatori, cioè clienti (quello che è sotto la protezione, che ascolta), ovvero uomini di seconda classe, ci riduce in primo luogo ad anelli passivi del sistema, a individualità anonime se non confuse.

Il liberalismo, che riposava su mercati aperti e possibilità varie d’intraprendere, sembra salvo casi eccezionali, un formidabile macchinare che non concede nemmeno più ai suoi sostenitori, le legittime aspettative che potrebbero nutrire.

In qualche modo, la globalizzazione, al tempo stesso effetto e causa, dopo che gli stati hanno istituito sotto forme diverse, le strutture che permettessero lo sviluppo di un giro d’affari quasi illimitato entro i confini, ma anche oltre, devono far fronte o perlopiù cedere a una situazione di concorrenza spietata che mina la concorrenza stessa, per sboccare su monopoli più o meno mascherati, (i giganti dell’informatica e delle comunicazioni, termine sempre meno definito ne sono un esempio negabile, ma vale in quasi tutti i settori di attività, e purtroppo, anche per l’alimentare, – la cosiddetta “grande distribuzione”), che agiscono al di sopra delle nazioni, eventualmente contro l’interesse delle stesse, (e cioè contro le loro popolazioni, composte da cittadini prima di chiamarli consumatori), ma soprattutto, (era il sogno dell’internazionalismo comunista), segna la fine del liberalismo in quanto ideale e possibilità d’intraprendere per tutti quelli, desiderosi di creare attività commerciali qualsiasi, e cioè di lavorare in proprio; invece di diventare pubblici funzionari, i membri della stragrande maggioranza, sono condannati a diventare dipendenti di cartelli le cui ramificazioni in settori multipli risultano talmente estese che ben difficilmente, sapranno realmente quale sia oltre a guadagnarsi uno stipendio, quali interessi economici e non solo, servono.

La motivazione dell’impiegato, se non strettamente personale in senso individualistico, non può nemmeno più essere rivolta all’idea di nazione, e questo tra l’altro, perché gli stati legiferano volente nolente, in tal modo di delegare a queste aziende, gran parte del potere e del ruolo affidati loro ieri ancora. Il lavoro stesso, perduto il significato collettivo che spetta ad ogni attività umana, (nulla si fa senza un fine definito, è il principio stesso della libertà), si scioglie nell’assenza di finalità comune, poiché questa finalità medesima, non rivela alcun bene o appartenenza condivisa, e come lo scrisse Galimberti («I miti del nostro tempo»): “Ma quando l’umanità, come oggi avviene con la globalizzazione, diventa idealmente un solo gruppo, funzionale alla logica del mercato, ma non alla logica dello stato, i processi di identificazione e di autoidentificazione non possono più riferirsi ai ruoli primari del sesso, dell’età e della capacità generazionale come nello stadio dell’identità familiare o tribale, e neppure al ruolo di cittadino come nella logica statale, ma in concorrenza con tutti questi ruoli, che comunque non vengono eliminati, i processi di identificazione e di autoidentificazione avvengono nella forma di una rappresentazione di sé nella molteplicità dei ruoli funzionali dell’apparato economico, che supera le vecchie identità non più referenziali a favore di identità sempre più astratte e, in quanto astratte, artificiali.”

L’identità scomparsa, (abbiamo proposto in precedenza alcuni argomenti in proposito), corrisponde a una mancanza di riconoscimento, siano pure le lodi distribuite come caramelle in ogni occasione, dato che non è la persona che viene considerata, ma il ruolo che svolge, indistintamente, o addirittura, neanche quello, ma la parvenza, l’esteriorità che la società quale ente sempre più indeterminato, prefigge, a seconda dell’aria che tira, di quello che sul momento sembra di poter raffigurare un’immagine convincente, meno di ciò che è, che dell’illusione che converrebbe diffondere, alla quale aggrapparsi nell’attesa di meglio.

Il miraggio che consiste nel credere che l’apparenza fasulla possa sostituire ogni rappresentazione realistica o immaginaria non è comunque un fenomeno culturale nuovo, e probabilmente, culla le speranze dei cittadini, ogni volta che una crisi sufficientemente acuta e durevole si presenta. In altre parole, colma il vuoto lasciato da un dubbio o persino da un crollo dei valori estetici tipico dell’eterogeneità e della disunione dei membri di una medesima collettività, la quale trova in esotismi diversi un compenso alla scomparsa o alla titubanza dei propri riferimenti, dei punti fermi oramai traballanti.
M.B.

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