cura – Swissact, il portale del Ticino. News e ultime notizie dal Ticino, Svizzera e estero. https://www.swissact.com News e ultime notizie in tutti i settori: politica, cronaca, economia, sport, svizzera, esteri Fri, 26 Feb 2021 18:44:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.7.11 Taffix, è uno spray nasale in grado di contrastare il Coronavirus https://www.swissact.com/taffix-e-uno-spray-nasale-in-grado-di-contrastare-il-coronavirus/ Fri, 26 Feb 2021 18:34:32 +0000 https://www.swissact.com/?p=2861 Nasus Pharma, l’azienda biofarmaceutica israeliana sta lavorando a un nuovo trattamento spray per combattere la diffusione del coronavirus.

In Israele il grande problema in questo periodo di grave pandemia sono le Sinagoghe, sempre affollate di fedeli. Per cercare di fermare l’avanzare del Coronavirus Nasus Pharma un’azienda farmaceutica con sede in Israele, sta lavorando a un dispositivo spray nasale per fermare la diffusione della malattia. Recentemente, l’azienda ha testato il trattamento su un gruppo di fedeli nella città centrale di Bnei Brak, durante la festa di Rosh Hashanah.

Taffix, è uno spray nasale a base di polvere (PBI) che impedisce ai virus di entrare nei dotti nasali, prevenendo l’infezione. Non è una cura, tuttavia, ma solo una precauzione offerta a coloro che vivono in comunità affiatate ed affollate con alti tassi di infezione o utile alle persone a rischio, come gli anziani o pazienti con il diabete o malattie polmonari croniche come l’asma.

Sappiamo che la maggior parte delle malattie colpisce le persone entrando nei passaggi nasali“, ha detto la dottoressa Dalia Megiddo, CEO di Nasus Pharma, durante un’intervista a CTech.

Negli ultimi tre anni, Nasus Pharma si è concentrata sul trattamento dei focolai durante situazioni di emergenza che richiedono una risposta rapida, come nel caso di pazienti che vanno in shock anafilattico o overdose da oppioidi. Sviluppando altri dispositivi spray nasali che vengono rilasciati nel corpo in modo molto rapido.

Con l’arrivo del coronavirus, Megiddo ha affermato che la società ha iniziato a cercare nuovi metodi per proteggere le persone dal virus e ha creato Taffix.

Questo è un dispositivo medico ma non è un farmaco”, “perché non contiene nessun principio attivo”. “Il meccanismo d’azione non è specifico per il trattamento del covid“, e può essere utilizzato anche per limitare la diffusione dell’influenza. “Taffix è una polvere che quando viene inalata copre i passaggi nasali per creare uno strato protettivo attorno alle cellule in modo che il virus non possa raggiungere i recettori delle cellule del naso.”

Taffix deve essere utilizzato ogni cinque ore, in particolare prima di entrare in un supermercato o in una zona a rischio di assembramenti.

Quando, la polvere viene spruzzata si trasforma in una sostanza gelatinosa che copre i condotti nasali, assorbendo l’acqua dal naso. Questo micro-gel li riveste creando una barriera protettiva contro i virus in arrivo. Inoltre, il gel è acido e i virus non possono sopravvivere in un ambiente acido.

È una precauzione in più, ma non sostituisce assolutamente le mascherine e le varie raccomandazioni di sicurezza”. Anche utilizzando tutte le misure cautelative tuttora richieste, non esiste ancora una garanzia di protezione al 100%.

Il gruppo ha iniziato con uno studio di laboratorio, dove viene simulato ciò che accade nel naso, spruzzando la polvere in un’area chiusa e poi spruzzando vari tipi di virus. “I nostri risultati hanno dimostrato costantemente che il virus non può penetrare nel gel, portando a un grado di disinfezione compreso tra il 97% e il 99%“. Taffix fornisce semplicemente un ulteriore livello di protezione nella lotta al Covid-19.

Sembra inoltre che sempre in Israele si stia studiando uno spray nasale contro il Covid-19. Il primo ministro Benjamin Netanyahu lo ha descritto come “trattamento miracoloso”.

EXO-CD24 è uno spray nasale sviluppato dall’Ichilov Medical Center, che durante le prove ha dimostrato un’efficacia quasi del 100%. Il ricercatore, Nadir Arber, ha riferito di aver somministrato lo spray a 30 pazienti con casi da moderati a gravi di Covid-19 e che 29 di loro erano stati dimessi dall’ospedale in 3-5 giorni.

Speriamo che la sperimentazione continui.

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Riparare un cuore dopo l’infarto… Adesso e’ possibile https://www.swissact.com/riparare-un-cuore-dopo-linfarto-adesso-possibile/ https://www.swissact.com/riparare-un-cuore-dopo-linfarto-adesso-possibile/#comments Mon, 25 Jan 2021 16:00:00 +0000 http://5BD67A7F-B943-413D-9CCF-F11FCCB1C79C Il cuore colpito da infarto si può’ riparare da solo. E’ la via italiana di una nuova terapia che ha scoperto come rieducare le cellule staminali cardiache a riparare il cuore danneggiato.

Infatti, le cellule staminali svolgono il delicato compito di aggiustare il muscolo cardiaco ma dopo un infarto le cellule non riescono più ad assicurare questa preziosa auto-riparazione. Studiosi italiani, dell’Università La Sapienza’ di Roma e del Laboratorio di Biologia Molecolare Europeo (EMBL) di Monterotondo, hanno scoperto perché le cellule smettono di funzionare correttamente ma anche hanno capito come metterle nelle condizioni di riparare il danno. L’ annuncio ‘ stato dato durante i lavori del Congresso della Società Italiana di Cardiologia da uno degli studiosi, il professore Antonio Musarà dell’Università La Sapienza’ di Roma.

“Con i nostri studi condotti insieme alla dottoressa Nadia Rosenthal dell’EMBL – dice Musarà, Professore associato di Medicina e Biotecnologie alla Sapienza – abbiamo capito perché le cellule staminali presenti nel cuore dopo un danno, come un infarto o un trauma, non svolgono più correttamente il loro compito. Infatti, invece di produrre tessuto funzionale contrattile che permette di riparare il danno, smettono di funzionare o addirittura producono tessuto fibrotico non funzionale. Questo succede perché l’infarto o il danno provoca un ambiente ostile all’attività normale delle cellule staminali. Quindi, abbiamo compreso che modificando l’ambiente subito dopo l’evento che ha provocato il danno, le cellule staminali possono riprendere la loro corretta funzione. Questo spiega anche perché molto spesso il semplice trapianto di cellule staminali non da i risultati sperati. Il fallimento potrebbe essere dovuto proprio all’ambiente non idoneo”.

Una volta scoperto che è l’ambiente a rendere le staminali residenti incapaci di funzionare correttamente si è reso necessario trovare il sistema per ripristinare un ambiente ideale. A questo punto si è ricorsi a fattori di crescita da introdurre nel muscolo cardiaco danneggiato. Si tratta del mIGF-1, che si è rivelato adatto a modificare l’ambiente, attivare le cellule staminali e recuperare efficientemente il danno. L’mIGF-1 è un fattore normalmente presente nei diversi tessuti dell’organismo ma in diverse condizioni patologiche la sua funzione viene a mancare. Sono incoraggianti i test sui modelli animali”.

“É una scoperta veramente molto importante   dice Francesco Fedele, Responsabile della Prima Cardiologia dell’Università La Sapienza di Roma perché apre una via nuova e fortemente innovativa soprattutto per un utilizzo ‘intelligente’ delle cellule staminali”.

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Pfizer qualche dubbio sul Vaccino https://www.swissact.com/pfizer-qualche-dubbio-sul-vaccino/ https://www.swissact.com/pfizer-qualche-dubbio-sul-vaccino/#comments Thu, 21 Jan 2021 10:28:50 +0000 https://www.swissact.com/?p=2478 di Paolo Becchi e Giulio Tarro

Paolo Becchi e Giulio Tarro ci spiegano l'efficienza dei cavvini

La storia dell’umanità è stata forgiata da micidiali microorganismi. In passato catastrofiche epidemie come la peste – che in Europa nel medioevo uccise i due terzi della popolazione – o il vaiolo, unite a quello che a quei tempi era un alto tasso di natalità, hanno permesso il ripopolamento, in determinate aree del nostro pianeta, di persone caratterizzate da gruppi sanguigni particolarmente resistenti a microbi come la yersinia pestis o virus come il variola virus. Solo a partire dalla fine dell’Ottocento la medicina è stata in grado di scoprire gli agenti eziologici delle principali malattie a carattere epidemico e a mettere in atto strategie per contenerle.

Perché vaccinarsi
Innanzitutto, le vaccinazioni. Il principio sul quale si basano i vaccini è, come è noto, inoculare nel soggetto sano quantità attenuate (o parti di questo) dell’agente patogeno, del virus insomma, in modo da suscitare nell’organismo una reazione immunitaria capace di proteggerlo. Oltre a questo beneficio ve ne è un altro altrettanto importante: la vaccinazione del singolo individuo riduce il numero dei soggetti che possono trasmettere l’infezione, perché chi si vaccina non solo non si ammala ma non è in grado di trasmettere l’infezione. Si può raggiungere, quindi, quella che è stata definita “’immunità di gregge” (herd immunity), la quale finisce con il fornire una tutela anche ai soggetti che non sono stati vaccinati. Una qualsiasi vaccinazione per poter proteggere una comunità deve interessare una grande percentuale degli individui che la compongono; in taluni casi il vaccino può anche provocare gravi effetti sulla salute delle persone sottoposte alla vaccinazione, ma col tempo i progressi fatti nella preparazione dei vaccini tradizionali hanno ridotto di molto i rischi. Nessun dubbio quindi sull’utilità e l’efficacia dei vaccini.

Cos’è un vaccino?
Ma cosa è precisamente un vaccino? Il vaccino viene definito come “mezzo biologico di difesa antinfettivo adoperato per stimolare le reazioni immunitarie verso infezioni batteriche o virali”. Questa una delle definizioni più diffuse. Il meccanismo mediante cui agisce il vaccino è quello di stimolare la produzione degli anticorpi specifici per se stesso, in modo da neutralizzare l’effetto biologico, cioè contagio ed effetto patologico, sull’organismo ospite. Ci sono diversi tipi di vaccini, nel caso attuale, per la verità, forse anche troppi. Ma una differenza ci pare oggi fondamentale. Alcuni utilizzano virus, altri no. I vaccini più tradizionali sono quelli cinesi e indiani, a virus disattivato, ma anche il vaccino prodotto dai russi utilizza un adenovirus come vettore contenente le istruzioni per produrre la glicoproteina “spike” che permette al virus di legarsi alle cellule umane, che utilizzerà successivamente come fotocopiatrici per creare nuove copie di se stesso. Il nostro sistema immunitario impara a riconoscere la proteina del virus “ibrido” e meno aggressivo, conservando la memoria dell’agente incontrato.

Ma come funzionano i “vaccini” di Pfizer e Moderna che ora vengono impiegati in Italia? La tecnica di iniettare non un virus ma frammenti di RNA messaggero (mRNA) consiste nell’utilizzare una molecola speculare al Dna del virus per la produzione delle proteine costituendi la particella virale che ha il fine di indurre la glicoproteina “spike” del coronavirus, che viene usata per i recettori Ace2 delle cellule bersaglio al fine di produrre questi antigeni nelle nostre cellule mediante l’informazione dell’mRNA. Viene quindi stimolata la produzione di anticorpi specifici come le immunoglobuline nei riguardi di questi antigeni specifici virali per stabilire l’immunità del soggetto vaccinato. Si tratta dunque una nuova terapia genica, mai utilizzata prima d’ora, basata sua molecola che contiene le istruzioni per la sintesi nell’organismo umano di nuove proteine le quali dovrebbero permettere di resistere meglio all’attacco dello stesso virus.
Questa nuova tecnica può essere considerata compatibile con la definizione di vaccino entrata da tempo nell’uso? Insomma, stanno vaccinando o stanno sperimentando su vastissima scala un nuovo farmaco? La nuova tecnica può essere considerata compatibile con la definizione di vaccino come “mezzo biologico”, mentre qui si tratta di un nuovo farmaco basato su frammenti di una molecola speculare al Dna? Sono domande lecite e non si dica che la “scienza” abbia già fornito le risposte, perché la “vera” sperimentazione di questo nuovo farmaco comincia adesso con le vaccinazioni. E solo tra diversi anni, forse, sapremo che effetti ha prodotto.

Vaccino, effetti collaterali
Non è vero, si obbietta, ci sono stati i trial clinici che hanno consentito l’approvazione del farmaco. Ci sarebbe molto da dire al riguardo, ad esempio che essi non includevano pazienti con malattie acute o instabili e pochi erano i soggetti volontari over ottanta. Inoltre la produzione del vaccino genico è iniziata – a quanto pare – ben prima dei risultati dei trial. Infine il dottor Peter Doshi, scienziato dell’Università del Maryland, il 4 gennaio 2021 ha pubblicato sul British Medical Journal, come anche riportato dal New York Times, uno studio sui vaccini della Pfizer e Moderna che tra l’altro riporta l’efficacia dal 19 al 29% e non al 95% come da loro affermato. Insomma, persino sull’efficacia sono stati avanzati dubbi. Ma il problema più grande – a nostro avviso – riguarda la sicurezza di questi “vaccini”.

Chi può oggi escludere che questi “vaccini” non possano indurre una risposta infiammatoria non specifica nei riguardi dell’mRNA che aumenta la risposta specifica ed immune? Sappiamo che nel caso di una infezione virale che infetta i linfociti, produttori degli anticorpi, vengono sintetizzate nuove proteine umane chiamate fattori di trascrizione. In altre parole, alcune regioni del genoma del virus si legano al genoma delle cellule umane. Questa unione virale con i fattori di trascrizione umana modificano l’espressione dei geni virali vicini. Si è visto di recente che viene messo in opera un meccanismo di attivazione di alcuni geni umani associati che predispongono al rischio di malattie autoimmuni, come il lupus, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, le malattie infiammatorie intestinali, il diabete di tipo 1, l’artrite idiopatica giovanile e la malattia celiaca. Inoltre, nei soggetti in età fertile l’RNA messaggero potrebbe indurre modifiche sugli spermatogoni o sugli ovuli con prospettive di alterazioni genetiche nei feti che solo il tempo potrà essere in grado di escludere. Non è forse questa la ragione per cui questo tipo di vaccino viene sconsigliato alle donne incinte, come pure viene sconsigliata la gravidanza fino a due mesi dopo la sua inoculazione? Ma allora perché non sconsigliare questo farmaco non solo alle donne incinte ma anche ai soggetti in età fertile?

Ora però dopo quello che è successo in Norvegia in questi giorni pare che anche per gli anziani ci siano problemi. In Norvegia si sta cercando di approfondire il decesso di 23 persone anziane che sono decedute dopo il “vaccino” contro il coronavirus prodotto dalla Pfizer – BioNtech. Si presume che gli effetti collaterali comuni possano contribuire ad un peggioramento delle patologie gravi nelle persone anziane. Tali decessi hanno fatto sì che il “vaccino” Pfizer non venga più inoculato in Norvegia nei pazienti anziani “molto fragili” evidentemente perché c’è il sospetto che il vaccino dia loro il colpo di grazia. Anche negli Stati Uniti ci sono già 55 morti avvenute dopo l’uso di vaccini che utilizzano l’RNA messaggero.

Dobbiamo correre tutti questi rischi di fronte ad un farmaco approvato in fretta e furia, che al momento ci viene di fatto imposto come unico vaccino, anche se propriamente non è un vaccino? Un vaccino inventato da una piccola azienda tedesca biotecnologica, sino a ieri con i conti in rosso, che da tempo senza successo lavorava su quella molecola RNA per altri fini e che ora grazie all’americana Pfizer (seconda tra le Big Pharma mondiali) si è trasformata nel “viagra” dei vaccini? Un “vaccino” che garantisce una breve immunità individuale e che quindi dovrà essere ripetuto a distanza circa di un anno, e che tra l’altro non è neppure in grado di impedire agli stessi vaccinati la trasmissione del virus? E ancora, perché l’Italia non ha prodotto un suo vaccino a virus inattivato o a vettore virale e invece dobbiamo diventare le cavie di Pfizer, con il rischio, tra l’altro, di non avere nei tempi prescritti la seconda dose del vaccino che è indispensabile per la sua efficacia? Perché non offrire ai cittadini italiani la possibilità di scegliere tra un vaccino tradizionale e questo nuovo farmaco? Perché il 25 % dei medici o forse più – non sarebbe male un sondaggio al riguardo di Alessandra Ghisleri – non vorrebbe fare il Pfizer o il Moderna?

Beninteso, noi non abbiano niente in contrario riguardo alle ricerche su questa molecola che è capace di interagire con molte altre molecole, abbiamo solo dei dubbi sul fatto che essa possa funzionare come un vaccino e non siamo gli unici ad avere questi dubbi. Una genetista francese che da tempo si occupa dell’RNA, la dottoressa Alexandra Henrion-Caude, che dirige in Francia un Istituto di ricerca genetica, ha di recente manifestato dubbi analoghi. La produzione di proteine è regolata da alcuni interruttori, l’epigenoma, che dicono alle cellule di leggere le informazioni contenute nel gene. Questi interruttori accendendosi e spegnendosi agiscono sulla metilazione. Questo può succedere nel nostro organismo anche quando vi introduciamo la molecola RNA messaggero. Ora, elevati livelli di metilazione producono una inattivazione, un “silenziamento”, di quei geni oncosoppressori che ci proteggono dai tumori. Anche di questo bisognerebbe tener conto.
Amarcord. I vaccini antipolio, tipo Sabin che si somministravano per via orale contengono virus attenuati che moltiplicandosi per un breve periodo nell’intestino, determinano la produzione di anticorpi e quindi l’immunizzazione. Chi faceva questo vaccino era immune per lungo tempo o forse addirittura per sempre e immunizza anche gli altri. Chi oggi si vaccina con Pfizer o Moderna si immunizza per pochi mesi, può infettare gli altri e non possiamo neppure escludere che metta a rischio la propria salute.

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Curare la sindrome di Down gia’ nell’utero……. https://www.swissact.com/curare-la-sindrome-di-down-gi-nellutero/ https://www.swissact.com/curare-la-sindrome-di-down-gi-nellutero/#comments Sun, 03 Jan 2021 19:35:32 +0000 http://61AF609A-B34A-4AC7-BD12-570E502FAB26 La sindrome di Down un giorno potrebbe essere ‘curata’ in utero, quantomeno riducendo nel nascituro alcuni dei sintomi tipici della trisomia del cromosoma 21, come il ritardo mentale.

E’ la strada che lasciano intravedere i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Obstetrics and Gynecology diretto da Catherine Spong del National Institute of Health di Bethesda nel Maryland. I feti di topolini Down sono stati trattati in utero con composti che proteggono i nervi in sviluppo. Dopo la nascita i cuccioli presentano ridotta sintomatologia rispetto ai non trattati. Gli esperti Usa sperano che il loro studio, anche se all’inizio, rappresenti una svolta terapeutica: una volta scoperto di attendere un bimbo Down, si potrebbe iniettare la terapia in utero.

Nei topi questo ha in parte funzionato: i ricercatori hanno iniettato due sostanze naturali neuroprotettive presenti nel cervello in sviluppo, NAP e SAL, nelle topoline in attesa di cuccioli Down. Le sostanze hanno permesso di prevenire i danni neurali cui sono condannati i feti malati.

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Una tecnica ripara gli organi danneggiati https://www.swissact.com/una-tecnica-ripara-gli-organi-danneggiati/ Tue, 15 Dec 2020 20:06:53 +0000 http://13B83E94-01EF-4D42-BF8E-FC30B41BFB1A Contro la carenza di organi trapiantabili, arriva dal Canada una tecnica che permette di riparare i polmoni danneggiati rendendoli idonei al trapianto.

L’innovativo metodo di perfusione ‘ stato ideato, e usato per la prima volta al mondo, dai camici bianchi del Toronto General Hospital. Gli esperti, come riportato dalla stampa canadese, hanno ‘riaggiustato’ un polmone danneggiato che lo scorso 5 dicembre ‘ stato trapiantato con successo in un paziente di 56 anni. La tecnica permette di mantenere in vita il polmone all’esterno del corpo del donatore, ad una temperatura costante di 37 gradi, fino a 18 ore: un tempo sufficiente per consentire ai medici di riparare i danni dell’organo rendendolo adatto al trapianto.

“Vedere che questi polmoni sono danneggiati e che 12 ore dopo sono perfetti é ‘ davvero affascinante – ha detto al National Post Shaf Keshavjee, coordinatore del team di medici – a livello mondiale questa strategia potra’ raddoppiare il numero di trapianti di polmone”. Ad oggi, infatti, solo il 15-20% dei polmoni donati rispondono ai criteri di idoneita’ necessari per procedere al trapianto.

Sono gia’ quattro i pazienti del centro canadese che hanno ricevuto polmoni trattati con questa nuova tecnica di perfusione, ma Andy e ‘ il primo al mondo ad aver ricevuto un polmone ‘riparato’, che senza questo metodo sarebbe stato letteralmente gettato via. Secondo i medici canadesi, in futuro potranno essere trattati anche altri organi, come fegato, cuore e rene.

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