In un articolo del 2006, pubblicato dalla Duke University, si legge che “oltre il 40% delle nostre scelte quotidiane è frutto di abitudini” (Rif.)
Il processo grazie al quale il cervello trasforma una sequenza di azioni in una routine automatica è chiamato chunking (Rif.). Ogni giorno ripetiamo decine, se non centinaia, di comportamenti di questo tipo. Alcuni sono semplici, per esempio allacciarci le stringhe delle scarpe. Altri, come preparare il pranzo o la cena, sono un po’ più complicati. Altri ancora sono così complessi che il fatto che siano diventati abitudini ci sembra incredibile.
Guidare, per esempio, durante il periodo della scuola guida, è un processo pieno di attenzione e scrupoli ma quando poi si inizia a prendere confidenza con l’automobile, diventa una piacevole e comoda abitudine e si dimentica quanto si era concentrati a controllare la traiettoria del veicolo tramite il volante, regolare la velocità con l’acceleratore, guardare lo specchietto retrovisore per mettere la freccia prima di svoltare o sorpassare, calcolare la frenata, ecc… .
Come scrive Charles Duhigg (Rif.) “Se lo lasciamo fare, il cervello cerca di trasformare tutti i comportamenti ripetuti in abitudini, perché così si sforza di meno. Ma questa tendenza a conservare l’energia mentale può essere pericolosa, perché se il nostro cervello va in automatico nel momento sbagliato, potremmo non accorgerci di qualcosa di importante, come un bambino che attraversa la strada in bici o una macchina che arriva a tutta velocità. Perciò abbiamo inventato un sistema per decidere quando possiamo agire automaticamente. È qualcosa che scatta all’inizio e alla fine di un segmento di comportamento, e ci aiuta a capire perché, anche con le migliori intenzioni, è così difficile cambiare un’abitudine”.
“Il processo di formazione delle abitudini è formato da tre fasi.” – prosegue nel suo testo Duhigg – “Prima di tutto c’è uno stimolo che dice al nostro cervello che può andare in automatico e quale sequenza deve usare. Poi c’è la routine, che può essere fisica, mentale o emotiva. Infine c’è la gratificazione, che aiuta il cervello a capire se vale la pena di ricordare quella sequenza in futuro. Nel corso del tempo, questo ciclo – stimolo, routine, gratificazione, stimolo, routine, gratificazione – diventa sempre più automatico. A livello neurologico, lo stimolo e la gratificazione si legano strettamente tra loro fino a quando non si instaura il desiderio. L’aspetto particolare di questo meccanismo è che gli stimoli e le gratificazioni possono essere molto sottili. Alcuni studi neurologici hanno dimostrato che certi stimoli durano solo qualche millesimo di secondo. E le gratificazioni possono andare dalle più ovvie (come l’innalzamento del livello glicemico provocato dalla ciambella che mangiamo al mattino) alle più insignificanti (come il senso di sollievo impercettibile, ma misurabile, che proviamo quando sorpassiamo un ciclista). Nella maggior parte dei casi tutto succede così rapidamente che non ce ne rendiamo conto. Ma il nostro sistema neurale se ne accorge e usa queste sequenze per costruire comportamenti automatici”.
Le abitudini non sono immutabili. Possono essere ignorate, modificate o sostituite. Ma quando abbiamo fissato una sequenza e acquisito un’abitudine, il cervello smette di intervenire nelle decisioni (Rif.). Perciò, a meno che non decidiamo di combattere quell’abitudine, cioè di trovare una nuova sequenza, la vecchia si ripeterà automaticamente.
Alcuni esperimenti hanno dimostrato che quasi tutti gli stimoli rientrano in cinque categorie: luogo, tempo, stato emotivo, presenza di altre persone o azioni immediatamente precedenti. Quindi per capire cosa scatenava un determinato desiderio, nel momento in cui ne sentiamo il bisogno dobbiamo cominciare a rispondere a queste cinque domande:
Dove sei?
Che ore sono?
Qual è il tuo stato emotivo?
Chi c’è con te?
Cosa hai fatto prima?
Quando scopriamo, per esempio, che il nostro desiderio di caffè si scatena in ufficio, alle 11.00 del mattino di tutti i giorni mentre stiamo lavorando al computer da soli e abbiamo appena finito di rispondere alle email dei clienti, potremmo cercare di modificare l’abitudine alzandoci alle 11.00 dalla scrivania e dirigendoci, al posto che verso la macchinetta del caffè, da un collega a fare quattro chiacchere.
Per modificare un’abitudine quindi è necessario:
– prendere una decisione;
– armarsi di forza di volontà;
– sforzarsi consapevolmente di identificare i segnali e le gratificazioni che guidano le routine per trovare delle valide alternative.
Vi domanderete perché sia utile essere consapevoli delle proprie abitudini e in grado di modificarle a nostro piacimento, è semplice perché le abitudini vengono accuratamente studiate da chi detiene il potere e da chi ha bisogno delle vostre abitudini per arricchirsi. I primi cercano di creare narrazioni accettabili per noi ma che portino il maggior vantaggio politico per loro. I secondi per farvi scoprire bisogni da colmare con i loro, spesso inutili, prodotti di consumo.
S.S.