Esoterismo – Swissact, il portale del Ticino. News e ultime notizie dal Ticino, Svizzera e estero. https://www.swissact.com News e ultime notizie in tutti i settori: politica, cronaca, economia, sport, svizzera, esteri Mon, 22 Feb 2021 19:17:51 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.7.11 LA CONTINUA RICERCA DEL SÉ NELLA CONDIZIONE UMANA https://www.swissact.com/la-continua-ricerca-del-se-nella-condizione-umana/ Mon, 22 Feb 2021 15:12:34 +0000 https://www.swissact.com/?p=2826 Simbolicamente, siamo capaci di rispecchiarci in tutto quello che l’immaginazione ci propone, senza esito convincente, oltre ad infilare o a vederci attribuire maschere varie, più o meno congeniali, che accettiamo volentieri o no, di cui siamo consci e non sempre, che talvolta ci restano addosso come un marchio sul bestiame, ma tutto quanto non supera una visione superficiale e spesso solo caricaturale.

Comunque, l’apparenza, in mancanza di approfondimento, del resto raramente possibile, predomina a qualunque livello, ed è ben difficile in queste condizioni, abbozzare un riconoscimento e sviluppare un’empatia, iniziare un dialogo, che si allontanino da riferimenti culturali scontati e da identità sociali che prediligano la funzione e le circostanze, a scapito dell’individuo, notevolmente più complesso, e detentore di una storia che imprescindibilmente, non solo gli è propria, ma è lui nel senso che lo compone e lo ha foggiato, è stata e prosegue, racchiuse e racchiude tuttora il suo divenire.

L’approccio comune, che consiste nel giudicare il carattere o la personalità altrui, (l’approssimazione dei termini adoperati dimostra del resto la superficialità dell’apprezzamento), presuppone che l’individuo possegga peculiarità volute o perlomeno relative direttamente alla responsabilità personale, che hanno determinato la propria storia, (d’altro canto, affermare il contrario attinge dallo stesso ragionamento puramente lineare), opinione contestabile per il semplicismo.

Ripetiamolo, per fortuna, l’umano risulta profondamente più complesso, il che significa anche contraddittorio e combattuto, che non gli abbozzi quasi uniformi proposti per motivi sociali o per facilità, più costruzione che creatura, ed è soltanto allora che si entra nel campo della volontà e della responsabilità. Vale d’altronde sottolineare che in diritto, per corroborare tali opinioni, non esiste la nozione di responsabilità collettiva, posizione spesso riproposta dagli storici, la cui analisi si concentra su un personaggio di spicco (in bene o male), i risultati di un regime, tuttavia tutt’altro che personale, sia pure basato sul culto della personalità.

Tuttavia, possiamo constatare quanto siano distinti le definizioni dell’uomo, in qualunque disciplina e i comportamenti che adoperiamo, perlopiù senza nessuna coscienza di farlo. È del resto particolarmente interessante sottolineare che nel rapporto con la natura, l’umano sia convinto di poter rispecchiarsi in qualunque animale a seconda delle tradizioni religiose e filosofiche delle varie popolazioni del globo, fino (perlopiù attraverso l’assimilazione della carne), ad acquistarne le qualità perché se ne ciba. In un certo senso, proprio per quel modo di nutrirsi, sia ancestrale o odierno, (anche se oggi, si è sempre meno consci degli alimenti ingurgitati), l’uomo è il re degli animali, quello che decide della sorte e dell’utilità delle altre specie, ma probabilmente innanzitutto, di dimostrare a se stesso il predominio su tutti, in altre parole, di elevarsi al di sopra della natura o perlomeno, di far parte dei grandi predatori, dunque di una categoria superiore.

Comunque, questa affermazione denota anch’essa quanto l’umano, non riesca a confrontarsi a nulla che gli concederebbe un riconoscimento, e si senta al tempo stesso solo, tranne rivolgersi a Dio, ed onnipotente di fronte alla natura, a meno che, tempesta, terremoto o eruzione, sia la natura a ricordargli che le prodezze tecnologiche non risparmiano dalle catastrofi, caso in cui prende allora e perlopiù, a invocare la fatalità e chiedere l’aiuto dei cieli, altra illustrazione della difficoltà nel situarsi e del continuo andirivieni tra ragione e credenze, il quale segna sicuramente drasticamente i limiti della persona, della comunità addirittura, poiché nessuno sa come mai le strutture colpite dal ciclone o dallo tsunami siano sorte da terra, proprio in quel posto e non altrove, e non siano resistite alla distruzione, quasi in più della furia degli elementi, esistesse sopra gli uomini, una civiltà delle tecniche autonoma, un esercito di macchinari e motori, persino di onde, raggi e particelle, in grado di imporre se non una volontà misteriosa, un’espansione inarrestabile quanto indipendente.

La fantascienza dipinge da alcuni decenni ormai, i tormenti di una società del “tutto tecnologico”, racconti la cui azione si svolge spesso “altrove  nell’universo” e in qualche “epoca futura”.  Viviamo noi con sempre più difficoltà nel definire luogo e tempo; viviamo in qualche modo, in una
realtà di fantascienza, utopia e ucronia, né luogo né tempo, oppure sono qualunque, uniformi, solo l’istante: “Io, sono!“, senza trascendenza.

M.B.

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Libertà di scelta e paura https://www.swissact.com/liberta-di-scelta-e-paura/ Mon, 08 Feb 2021 17:47:58 +0000 https://www.swissact.com/?p=2712 I moti che ci conducono sulle orme del nostro destino, rimandano tanto a un riconoscimento individuale che a un’appartenenza collettiva, e condizionano i nostri comportamenti finché non decidiamo a torto o ragione, problema sussidiario nel momento della scelta, della via da seguire.

La cultura odierna soffoca in nome di regole imprescindibili, (le leggi del mercato), ogni scelta immaginabile. Le religioni avevano ridotto la simbolica a verità, e cioè, assimilato la rappresentazione all’oggetto, la formulazione mentale a concretezza tangibile. Per esempio, il soffio di Dio sul Mar Rosso
non raffigurava più la capacità dell’uomo a superare gli ostacoli, le barriere, pure con un aiuto divino, ma diventava un fatto storico, per gli uni, dovuto ai polmoni di Yahweh, per gli altri a qualche sisma, fosse gioco della natura o miracolo compiuto.

Scherzi a parte, i mille e uno esempio che potremmo dare a riguardo, vanno ricollegati a una costatazione che non concerne né i cieli, né i capricci o movimenti delle placche tettoniche, bensì la mente  umana, in riferimento a una società e un’epoca definite.

Si pone tuttavia una domanda, se non altro risentita emotivamente da chiunque, confrontato a quello che siamo soliti chiamare “i tormenti e l’intimo dell’anima”: “Perché tanta paura?”, e soprattutto: “Di che cosa?”. Se alcune pratiche religiose possono suggerirci risposte relativamente convincenti, in
relazione all’onnipotenza, sia quella che immaginiamo di dover patire, sia quella che desidereremmo e ci illudiamo a volte di possedere, è dal campo della psicologia che vorremmo attingere i nostri argomenti.

Nell’avvertenza che precede «Gli archetipi dell’inconscio collettivo» di C.G. Jung, rileviamo la frase: “La straordinaria forza dell’inconscio collettivo viene (…) indagata nella sofferta condizione d’un individuo”, mentre di persona, Jung scriveva: “La dottrina dei primitivi è “sacra e pericolosa”. Tutte le dottrine esoteriche cercano di afferrare gli invisibili accadimenti dell’anima, e tutte rivendicano la massima autorità. Quel che è vero per quelle dottrine primitive vale ancor più per le religioni attuali. Esse contengono una rivelazione primitivamente segreta e hanno espresso i misteri dell’anima in figure splendenti. I loro templi e le loro sacre scritture annunciano in immagine e parola l’antica dottrina consacrata accessibile ad ogni animo credente, ad ogni intuizione sensibile, ad ogni più vasta indagine del pensiero“.

In queste poche frasi che ci immergono in un passato di cui ci manca ogni coscienza, anche se ci sembra talvolta familiare, vengono racchiusi tutti i presupposti di ogni elaborazione mentale, dalle visioni più idilliache a quelle più orride, che ricoprono tutti i possibili, tutte le sfaccettature immaginabili ed inaspettate o addirittura inverosimili, che rivelano la complessità dell’umano, i suoi eccessi, l’inafferrabilità dei suoi sentimenti come dei suoi atti.

Si creda o meno alla libera scelta, ricollegata a determinismi vari, non toglie che ciascuno, venga interpretata una decisione propria o condizionata, (e vale anche per i gruppi), di fronte a più possibilità, si risolve ad agire per rompere gli indugi, e prende l’iniziativa in una direzione o un’altra, qualunque giudizio si porti poi a questo proposito. Allora, risulta perlomeno che forze opposte, persino antagonistiche, possano palesarsi dentro un individuo, del resto sempre più o meno propenso ad indossare tutte le colpe così come tutti i meriti del mondo a titolo personale, e cioè a compiere tutte le azioni possibili, sin dal momento in cui ritiene d’essere giustificato, e queste forze, che lo abitano, chissà fino a che punto egli le domina, le gestisce, o invece, le subisce, lo sovrastano.

Per secoli, ad esempio, non solo l’insegnamento comune a quasi tutte le società: “Non ucciderai!”, venne ritenuto in quanto legge solo riguardo alla sfera privata, ma gli eserciti ricevettero la benedizione delle chiese senza che nessuno ci vedesse nulla da ridire. Per banale che sia, purtroppo, questo accenno fa apparire al di là di qualunque senso della realtà e qualunque significato, quanto siamo determinati nelle nostre azioni, dalla valenza simbolica ricoperta a prescindere dai vocaboli, da situazioni drasticamente distinte e differenziate, a seconda della posta, siano pure paradossalmente totalmente sviati o incompresi, i messaggi che racchiudono.

Sembrerebbe dunque che non abbiamo davvero la facoltà di approdare alla realtà se non  tramite un insieme di rappresentazioni che appartengono tanto all’immaginario quanto alla simbolica, il tutto per quanto sia comunque incompleto, definito tramite il verbo, senza mai riuscire a distinguere chiaramente, le varie dimensioni dei contenuti ai quali ci richiamiamo. Oggigiorno, la smania esacerbata del realismo ad ogni costo ci convince sia di circoscrivere il reale, sia di praticare, ci sembra la parola più adatta, il razionalismo; in verità, la nostra visione d’insieme risulta solo un arrangiamento estremamente complesso che attinge da tutte le elaborazioni di cui siamo capaci, indistintamente, ma anche casualmente e in funzione delle circostanze.

Se abbiamo un dubbio in proposito, ovvero, se siamo convinti di raggiungere una visione coerente ed esatta della realtà senza appellarci a tale complessità, e talvolta, confusione, basti ricordare quello che capita a tutti, di tanto in tanto: stiamo a raccontare un episodio qualunque tra amici, e arriva il solito ritardatario; riprendiamo il racconto da zero, perché possa seguire anche lui la discussione, ed ecco che un’altra versione, quasi quasi, più che dalla nostra bocca, come se il verbo ci dominasse, risuona a nostra insaputa, esagerando appena, e contro la nostra volontà.

Conosciamo bene questa peculiarità, del resto, quando ci riferiamo al concerto di qualche cantante di successo, talvolta a dimostrazione dei miracoli compiuti negli studi discografici, semmai lo spettacolo, tolta la scenografia e le varie ballatrici, ci lascia perplessi rispetto al disco comprato con entusiasmo la sera prima.

Solo la lingua scritta concede di ripetere alla lettera le medesime parole, ma come un attore non ripete mai la stessa prestazione, sarà comunque non senza qualche cambiamento di ritmo e di intonazione, che leggeremo uno stesso testo, ed è sempre interessante notare quanto siano poche le persone in grado di esprimersi agevolmente e chiaramente, senza ricorrere al supporto della scrittura; che la società odierna non ci porti attenzione è alquanto triste (i canali televisivi non esitano a proporre farfuglioni e addirittura presentatori afflitti da qualche difetto di pronuncia, senza parlare della moda adesso antiquata ma duratura della “r” moscia in alcuni ambienti), dato che l’elocuzione, indubbiamente, rispecchia il pensiero, (o la sua assenza), anche qualora indichi il significante.

“La sofferta condizione dell’individuo” risulta sicuramente anche dall’imperio del verbo, non di certo quello divino, venga pure mitizzato il cosiddetto linguaggio popolare, quello adoperato per strada magari, nonostante più spesso le comunità umane si esprimano secondo modelli che non hanno coniato, a imitazione di qualche capo dal gergo colorito, la cui parola prende un valore particolare, sin dal momento in cui in modo ridondante, l’eco supera il senso, o addirittura lo sostituisce.

Piero Chiara aveva illustrato simili linguaggi («Sale e tabacchi»), così: ““Al limite” dicono da un paio di anni tutti gli sciocchi che fino a due anni fa dicevano “nel caso estremo”, “in ultima analisi”, oppure “se non si può fare altrimenti””.

Sciolte le lingue, oggi, in sostituzione degli intellettualoidi bisognosi di una volta, sono i giovani (e non, categoria ancora più inaccessibile), che iniziano ogni incontro con: “Bella zio”, “zio pera”, “fichissimo!” o ancora “sei mitico”, altrettanti modi di dire che per non racchiudere un significato verbale, manifestano al tempo stesso un’appartenenza collettiva, non ben diversa del resto di chi non manca mai l’occasione di proclamare: “Noi…” seguito dal sostantivo che lo distingue dagli altri, sia “noi artisti, esperti vari o ladri”, qualunque sia la disciplina e una volontà di essere riconosciuti, sia pure fasulla, poiché non richiede
l’approvazione altrui. (Potremmo osservare la medesima postura in tutti i gruppi in cui la gerarchia impone le sue leggi, leggi che contrappongono al rapporto umano e alla comunicazione, l’ordine, sia pure ritenuto morale).

Nella tendenza più o meno segnata a seconda delle epoche e delle comunità, d’incuria della lingua, vi sarebbe quindi da rilevare prima ancora di questa rinuncia, un mancato riconoscimento, o in altri termini, un’assenza di empatia.

M.B.

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L’enigma del sé https://www.swissact.com/lenigma-del-se/ Sat, 16 Jan 2021 06:23:39 +0000 https://www.swissact.com/?p=2414 Da quando intrapresi i miei studi esoterici, prima per curiositá poi per passione, mi incaponii soprattutto, sulla problematica dell’origine dell’essere in senso ontologico.
Avevo da tempo compreso che l’individuo con la sua personalità ed i suoi atteggiamenti costruiti in gran parte dalla pressione dell’ambiente familiare e scolastico ed in piccola parte per puro vezzo imititativo, non poteva essere identificato o, diciamo meglio, ridotto al mero personaggio che tutti i giorni si alza per affrontare la vita prosaica e poco stimolante cui la maggior parte di noi è abituata. Sapevo che nelle profonditá della nostra mente si celava la risposta e cercavo affannosamente la risposta al quesito: “chi sono realmente”; era palese che colui che banalmente veniva indicato con il mio nome, non ero realmente io ma era veramente difficile capire chi o cosa veramente fossi.
Mi imbattei un giorno, durante le mie ricerche, in un testo dal titolo: “gli yoga sutra di Patanjali”, una sorta di bigino sulla tecnica yoga attribuito a questo autore e risalente a circa 6 secoli prima di Cristo; in diversi aforismi, detti sutra appunto, veniva descritto e spiegato un termine chiamato “avidya”. La definizione più diffusa che trovai fu “ignoranza” nel senso proprio di mancanza di conoscenza ma di cosa? Non riuscivo a comprendere finché in uno dei vari commenti che trovai, scoprii che si trattava di mancanza di conoscenza del sè e veniva descritto come la radice di tutti i mali che alla fine rendono possibile il ciclo della rinascita, unica soluzione per porre rimedio agli errori a catena che si susseguono a seguito di tale “avidya”.
Ma il “sé” di cui il commento parlava, cos’era in realtá? Lo compresi continuando ad addentrarmi nel testo; due o tre sutra dopo veniva introdotto il termine “asmita” traducibile come: “senso dell’ego” o anche, letteralmente: “veleno” ma in che senso l’idea dell’ego era un veleno? I commenti degli antichi convergevano tutti sul seguente concetto: si tratta di una falsa identificazione e cioè noi identifichiamo il sé con lo strumento della sua percezione e cioè con la mente o con il corpo o con i sensi o con tutti e tre contemporaneamente.
Capii immediatamente che ero di fronte alla soluzione: quello che la maggior parte di noi pensa sia il sé in realtá é l’idea che il sè stesso si è fatto a riguardo. Quindi quando un essere si ritrova dentro a un corpo, dotato di una mente e di meccanismi sensori, considera se stesso e si identifica con la sua mente o con il suo corpo non riuscendo a sfuggire alla trappola dei suoi stessi sensi o nei casi più idealisti nell’idea che uno si fa di sé.
Quindi “lui”, infine, cos’è? Possiamo cercare di definirlo come unità consapevole di essere consapevole ma saremmo sempre nella falsa identificazione perchè è un pensiero quindi mente. Quindi come si esce da questa trappola paradossale? Il conoscitore e l’oggetto della sua conoscenza devono unificarsi sparendo entrambi; il risultato, indefinibile, è uno stato di coscienza che viene chiamato samadhi che letteralmente significa proprio “unione”.
È uno stato molto elevato che può sfociare in una vera e propria estasi mistica che sfocia nella certezza assoluta di chi si è.
S.S.

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L’incubo del determinismo https://www.swissact.com/lincubo-del-determinismo/ https://www.swissact.com/lincubo-del-determinismo/#comments Fri, 15 Jan 2021 16:18:46 +0000 https://www.swissact.com/?p=1963 Determinismo, Indeterminismo e Libero arbitrio

Prefazione

simo1Sassi e alberi non possono prendere decisioni ma le persone sì. Eppure le particelle elementari che li costituiscono sono le stesse. Perché allora l’uomo è in grado di prendere decisioni? Perché dovrebbe verificarsi una forma di emergentismo? E se il libero arbitrio fosse una mera illusione?
Sono domande che con la nascita della concezione deterministica della natura hanno iniziato a far vacillare l’idea di libero arbitrio da un punto di vista scientifico, sebbene in ambito etico e teologico fosse stato argomento di numerosi dibattiti.
La questione sull’esistenza o meno del libero arbitrio è un argomento senza dubbio interessante che ha pervaso e continua a pervadere la letteratura e la filosofia e per questo semplice motivo ho deciso (ammesso che l’uomo possa decidere) di porlo come punto cardine della mia tesina, provando a trattarlo in relazione alla letteratura, alla fisica e alla filosofia.

danteLa questione del libero arbitrio nella Divina Commedia

Nel celebre poema di Dante Alighieri (Firenze 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321) il libero arbitrio è posto alla base dell’agire umano; considerato un dono divino, esso non influenza solamente la vita mondana ma anche quella ultraterrena. L’incapacità di osare, sia nel bene che nel male, viene descritta come uno dei peccati più deplorevoli; difatti gli ignavi, coloro che non furono in grado di prendere decisioni o non vollero farlo per non assumersi responsabilità, non sono accettati nemmeno dai dannati dell’Inferno.
La trattazione più ampia del libero arbitrio avviene però nel canto XVI del Purgatorio. In esso Dante e Virgilio si trovano nella terza cornice ove sono collocate le anime degli Iracondi. Questi penitenti sono costretti a osservare esempi d’ira punita e mitezza premiata attraverso una fitta coltre di fumo che, per via del suo spessore, viene paragonata ad un panno ruvido. In questo scenario quasi infernale, dopo aver udito l’Agnus Dei, un’anima domanda a Dante chi egli sia. Dopo aver ascoltato la spiegazione del poeta fiorentino, l’anima, che rivelerà essere Marco Lombardo, si accinge ad iniziare un discorso sul libero arbitrio. Nel corso di questa trattazione egli individua nelle scelte umane le uniche cause della corruzione presente nella società a Dante contemporanea, negando una qualsiasi interferenza degli astri con la ragione umana; infatti, se così non fosse, non vi potrebbe essere una giustizia divina che premia i meritevoli e condanna i negligenti.

 

Voi che vivete ogne cagion recate
suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Voi che siete in vita riconducete la causa di pur
tutto al Cielo, come se esso determinasse ogni
cosa necessariamente.
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
 Se fosse così, in voi non ci sarebbe più il
libero arbitrio, e non sarebbe giusto essere
premiati per la virtù, ed essere puniti per la
colpa.
(Versi 67-72, Canto XVI, Purgatorio)

Gli astri sono solamente in grado di orientare il volere umano, ma è il singolo individuo che decide quali azioni compiere. In questo quadro la ragione, donataci da Dio, viene vista come garante del libero arbitrio che ci permettere di distinguere il bene dal male. All’uomo oltre che la ragione è stata donata un’anima, la quale si comporta come una fanciulla che cerca in tutti i modi di raggiungere i piaceri: sta agli uomini impedire che ciò accada. Per compiere ciò essi devono sottostare alle leggi dell’Impero, create appositamente per frenare gli impulsi dell’anima. Lombardo afferma inoltre che queste leggi dovrebbero vegliare anche sull’operato della Chiesa, la quale, a sua volta, dovrebbe rinunciare al potere temporale per non cadere in disgrazia. Dopo alcuni chiarimenti in merito ad alcuni esempi di virtù, l’anima scompare.
La tematica del libero arbitrio correlata alla predestinazione verrà ripresa anche nel Paradiso, nel canto XVII. In questa occasione l’interlocutore di Dante sarà il suo trisavolo Cacciaguida, il quale contrapporrà la dottrina tomista, sostenitrice del libero arbitrio, a quella agostiniana, fautrice della predestinazione. Nei versi 37-42 Dante esprime la sua posizione, appoggiando la tesi tomista.

«La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende
tutta è dipinta nel cospetto etterno:
Gli eventi contingenti, che non si estendono
al di fuori del vostro mondo terreno,
sono tutti dipinti nella mente di Dio:
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende.
           
 essi però non sono per questo necessari,
come non lo è il fatto che una barca scenda
la corrente solo perché qualcuno la osserva.
(Versi 37-42, Canto XVII, Paradiso)

Appare chiaro che un’eventuale negazione del libero arbitrio non viene presa in considerazione nella produzione letteraria dantesca. Inoltre la negazione del libero arbitrio appare controintuitiva: in ogni momento della nostra vita prendiamo delle decisioni, ma queste sono realmente libere o necessariamente condizionate da fattori che non sono sottoposti al nostro controllo?

L’avvento del determinismo

Se l’opera dantesca lasciava ancora un ampio spazio al libero arbitrio, il determinismo, nella sua formulazione più rigida, non si comporta in maniera analoga.
Infatti il determinismo è la concezione filosofica per cui in natura tutto accade per necessità, negando la casualità. Ogni fenomeno viene quindi ricondotto ad una catena di relazioni causa-effetto. Questa concezione venne sostenuta da alcuni filosofi sin dall’antichità, come ad esempio gli stoici, ma è in epoca moderna che essa ha raggiunto il suo apogeo. Con la formulazione dei tre principi della dinamica da parte di Isaac Newton si ha un’importante svolta: la natura viene descritta attraverso delle leggi specifiche e ben formulate, stabilendo così un rapporto di causa-effetto tra i corpi che consolida la tesi determinista.

1. Primo principio (di inerzia): Ogni corpo persevera nello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che non sia costretto a cambiare da forze impresse a mutare questo stato.
2. Secondo principio (variazione del moto): Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa e avviene secondo la linea retta lungo la quale la forza è stata impressa.
3. Terzo principio (di azione e reazione):

Questi principi hanno una valenza universale, infatti Newton stesso affermerà che “le qualità uguali di corpi diversi debbono essere ritenute universali di tutti i corpi”1. Come 225px-Pierre-Simon_Laplacediretta conseguenza dell’accettazione del determinismo, viene stabilito un nesso con il concetto di prevedibilità che permette di conoscere l’evoluzione di un sistema. In merito Laplace affermerà che: “Possiamo considerare lo stato attuale dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Una intelligenza che, per un istante dato, potesse conoscere tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e che inoltre fosse abbastanza grande da sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti del più grandi corpi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero: nulla le risulterebbe incerto, l’avvenire come il passato sarebbe presente ai suoi occhi.”2
Appare quindi evidente che nonostante la natura sia governata da leggi di causa-effetto, l’uomo può avvalersi solo di conoscenze approssimative dovute alla sua impossibilità di conoscere “tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono”. È però importante sottolineare che, secondo questa concezione, l’impossibilità di determinare con precisione il futuro è dovuta solamente ad una mancanza di informazione sugli stadi iniziali e per questo motivo, in linea di principio, sarebbe possibile conoscere il futuro in quanto non vi sono relazioni di casualità.
Questo rigido determinismo permeò la cultura dell’Ottocento e grazie al Positivismo venne esteso a nuovi campi, quali la biologia e la sociologia.
Ed è proprio in questo clima che comincia ad avanzare l’idea della negazione del libero arbitrio poiché, se ogni cosa è soggetta a delle precise leggi che stabiliscono delle relazioni di causalità, non vi è motivo per credere che l’uomo sia in grado di prescindere da esse. Nonostante ciò nacquero teorie filosofiche che prevedevano la coesistenza del libero arbitrio e del determinismo; questa tematica verrà trattata in maniera più approfondita nelle parti successive.
In seguito però alcune nuove considerazioni e nuove scoperte fisiche iniziarono a far vacillare il vecchio edificio su cui si stava fondando la scienza. A mettere in luce una delle contraddizioni del clima positivista che si era venuto a formare fu Ernst Mach, il quale, con la sua filosofia, mise in luce le istanze metafisiche implicite presenti nel mondo scientifico (nonostante i positivisti si opponessero fortemente alla metafisica), prima fra tutta quella di causalità. Non furono però solamente le idee del suddetto filosofo a mettere in crisi il clima positivistico ma anche la formulazione del secondo principio della termodinamica, la cui formulazione fu al centro di un lungo dibattito; riportiamo qui in seguito le formulazioni di Clausius e Kelvin.

«È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno» (formulazione di Clausius).

«È impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea» (formulazione di Kelvin-Planck).

La conseguenza diretta di questo principio è che in un dato sistema non isolato tende ad aumentare il livello di disordine (entropia), viene quindi meno quell’idea di un universo ordinato e preciso.

La rivoluzione quantistica

Zentralbild Prof. Dr. phil Werner Kar. Heisenberg, Physiker, geboren 5.12.1901 in Würzburg, Professor für theoretische Physik, Direktor des Max-Planck-Instituts für Physik in Göttingen, Nobelpreis für Physik 1932 (Aufnahme 1933) 39049-33

Zentralbild
Prof. Dr. phil Werner Kar. Heisenberg,
Physiker, geboren 5.12.1901 in Würzburg, Professor für theoretische Physik, Direktor des Max-Planck-Instituts für Physik in Göttingen, Nobelpreis für Physik 1932 (Aufnahme 1933)
39049-33

Sebbene nuove teorie fisiche come la relatività di Einstein modificarono profondamente la concezione dell’universo, fu la nascita della fisica quantistica ad opporsi in maniera radicale al determinismo classico. Infatti secondo le nuove teorie degli anni ’30 del novecento l’impossibilità di conoscere il futuro in maniere precisa non è data da una mancanza di conoscenza sugli stadi iniziali di un sistema, ma è una conseguenza di una proprietà fondamentale. L’impossibilità di conoscere con precisione arbitraria posizione e quantità di moto di una particella in un dato istante è descritta dal principio di indeterminazione di Heisenberg, enunciato nel 1927:

In una misura simultanea lungo l’asse x, le indeterminazioni di posizione ∆x e di quantità di moto ∆pₓ di una particella sono legate dalla relazione:
∆x∆pₓ ≥ ħ/2

Dove ħ è la costante di Planck ridotta (o costante di Dirac) e vale 6,58210^-16 eV∙s

Esistono anche altre coppie di grandezze incompatibili, come ad esempio la coppia energia-tempo.
Un altro punto cardine della rivoluzione quantistica fu la scoperta della dualità corpuscolare -ondulatoria della luce. Se infatti nel corso dell’ottocento si pensava che la luce avesse una natura puramente ondulatoria, nel corso del novecento si scoprì, grazie agli studi di numerosi fisici tra cui Planck, Bohr e Hertz, che essa aveva anche una natura corpuscolare poiché emette e assorbe radiazioni elettromagnetiche attraverso quanti di energia che possono essere solamente multipli della costante di Planck.
Viene inoltre delineata una nuova posizione dell’osservatore, infatti nel famoso esperimento delle due fenditure di Young qualsiasi tentativo di stabilire l’effettivo percorso del fotone porta alla distruzione della figura d’interferenza che verrebbe a formarsi in assenza di un osservatore. In merito all’esperimento delle fenditure e alla natura dualistica della luce è interessante riportare l’esperimento di Wheeler anche se la sua formulazione risale agli anni ’70; un esperimento che non potrebbe essere più lontano di quanto già non sia dalla concezione determinista.
Per questo esperimento ci si serve di un interferometro. In esso un fascio di luce collimata (in esperimenti più recenti è possibile “sparare” un fotone alla volta) incide su un beam splitter (un dispositivo ottico semiriflettente che divide il fascio in altri due ortogonali tra loro), i due fasci compiono percorsi diversi e riflettono completamente su degli specchi in modo che si possano ricongiungere; da qui i fasci giungono a due rilevatori. Se si inserisce un secondo beam splitter nel punto in simo3cui i fasci si ricongiungono si ottiene una figura d’interferenza sui rilevatori e quindi il fotone manifesta la sua natura ondulatoria(ed ha percorso entrambi i cammini); se invece non si inserisce un secondo beam splitter si avrà una probabilità del 50% di trovare il fotone su un rilevatore piuttosto che sull’altro e quindi il fotone si comporta come particella (ed ha percorso o il primo cammino o il secondo). Vi è una parte ancora più intrigante dell’esperimento in sé: infatti se togliamo il secondo specchio semiriflettente dopo che il fotone ha superato il primo specchio (ed ha quindi già “deciso” se percorrere un solo percorso come particella o percorrerli entrambi come onda), come si comporterà il fotone? Verifiche sperimentali recenti hanno dimostrato che l’inserimento del secondo splitter determina l’interferenza mentre la rimozione del secondo fa si che il fotone venga rilevato su un solo rilevatore. Molti fisici hanno avanzato l’idea che il cambiamento delle condizioni finali sia retroattivo, determinando ciò che il fotone ha “deciso” di essere quando stava entrando nel primo dispositivo semiriflettente; tuttavia Wheeler ha respinto questa ipotesi.
Nel novecento viene quindi a delinearsi una fisica probabilistica, non più certa. Questa nuova fisica non si delineò subito in modo chiaro come invece era successo con la meccanica classica, infatti Feynman disse in merito: “Un tempo i giornali scrivevano che solo dodici uomini al mondo erano in grado di capire la teoria della relatività. Non penso che sia vero. Forse c’è stato un momento in cui un uomo solo ne capiva qualcosa, perché era l’unico che ci stava pensando, prima di scrivere il suo articolo. Ma dopo la pubblicazione, la teoria è stata in qualche modo capita da molta gente, certo più di una dozzina di persone. Invece penso di poter affermare con sicurezza che nessuno capisce la meccanica quantistica.”3
Nel suo complesso questo impianto teorico mina le fondamenta del determinismo laplaciano poiché rende impossibile “conoscere tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono”. Queste quantità classiche vengono sostituite dalle funzioni d’onda che descrivono la probabilità che una data particella occupi una certa posizione o abbia una certa velocità. Sebbene questa potrebbe sembrare una magnifica via di fuga dall’incubo del determinismo, in realtà quello che viene chiamato “indeterminismo quantistico” non lascia spazio al libero arbitrio poiché sia che la natura venga governata da leggi di causa-necessità o che venga governata da leggi casuali e probabilistiche, esse sfuggono al nostro controllo. Anzi si potrebbe affermare che poiché le funzioni d’onda si evolvono nel tempo seguendo precise leggi matematiche, il determinismo laplaciano viene sostituito dal “determinismo” quantistico. Difatti sebbene il carattere probabilistico della fisica quantistica attenui il determinismo classico, le funzioni d’onda del futuro (nonostante siano distribuzioni di probabilità) continuano a essere completamente determinate da quelle del passato.

Il problema dell’informazione e la radiazione di Bekenstein-Hawking

Nel 1976 Stephen Hawking ipotizzò che i buchi neri violassero anche questa forma debole di determinismo. Secondo la sua teoria se un qualsiasi oggetto supera l’orizzonte degli eventi di un buco nero, viene inghiottita anche la sua funzione d’onda. Questo vuol dire che le funzioni d’onda degli istanti futuri non possono più essere calcolate conoscendo tutte quelle del passato poiché alcune di esse sono state inghiottite.
Si potrebbe però pensare che in fin dei conti non sia un evento drastico. Si potrebbe infatti obbiettare che queste funzioni inghiottite non influenzino più il resto dell’universo poiché non sono in grado di sfuggire dal buco nero. Da un punto di vista più filosofico si potrebbe invece ribadire che queste informazioni in realtà non vadano realmente perdute, poiché esse si trovano comunque in una regione dello spazio, nonostante essa sia irraggiungibile (a meno che non si scelga di non tornare più indietro).
Vi fu però una successiva scoperta che cambiò le carte in tavola: i buchi neri non sono poi del tutto neri. Questa frase che potrebbe sembrare senza senso si riferisce ad una proprietà dei buchi neri alquanto interessante: essi emettono radiazioni. simo4Questa radiazione, detta di Bekenstein-Hawking, non permette però di far sfuggire informazione dal buco nero. Infatti il processo attraverso cui essa viene emessa è il seguente: al di fuori dell’orizzonte degli eventi le coppie di particelle virtuali che si generano a causa delle fluttuazioni quantistiche non si annichiliscono come accadrebbe normalmente; la particella con energia negativa viene inghiottita dal buco nero. Così facendo il buco nero sembra perdere massa dal punto di vista di un osservatore abbastanza lontano. L’altra particella che non viene inghiottita invece si allontana dal buco nero e in tal modo sembra che essa sia stata emessa dal corpo celeste. Questo processo fa si che la temperatura del buco nero aumenti in modo esponenziale fino a causarne una violenta dissoluzione con conseguente emissione di raggi gamma.
Secondo questo modello l’evaporazione del corpo celeste fa si che l’informazione in esso contenuta venga per sempre persa. Il mondo scientifico non è concorde su questa soluzione e persino Hawking negli ultimi anni ha dichiarato che l’informazione potrebbe riemergere da un buco nero durante la sua evaporazione.
In definitiva non siamo ancora in grado di affermare se l’informazione nei buchi neri venga persa o meno ma questi corpi celesti sembrano porre ancor più limiti alla possibile conoscenza di uno stato futuro, indebolendo ulteriormente il determinismo debole quantistico. Ma questo ulteriore affievolimento del sistema deterministico lascia spazio al libero arbitrio?
La risposta sembrerebbe ancora una volta negativa poiché sia con un universo deterministico che con un universo indeterministico non saremmo in grado di controllare le leggi naturali, siano esse causali o casuali.

Libertarismo, compatibilismo, agnosticismo e illusionismo

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come la concezione determinista sia mutata nel tempo a seguito di ulteriori scoperte scientifiche. L’anello mancante che unisce le leggi di natura alla questione del libero arbitrio, ovvero che permette di considerarle valide ad ogni livello di descrizione dell’universo, è il riduzionismo ontologico. Esso assume come ipotesi l’omogeneità ontologica di ogni livello di descrizione e per questo viene definito “ontologico”. Esso può essere riassunto in due princìpi4:
– che il mondo organico-biologico è costituito dalla stessa materia del mondo inorganico;
– che nel mondo organico-biologico-psicologico non si verifica alcun evento o processo che è in contrasto con i fenomeni chimici e fisici che si verificano ai livelli molecolari, atomici o subatomici.
Questo tipo di riduzionismo differisce da quello metodologico, il quale afferma che per analizzare un sistema complesso bisogna sempre conoscere le relazione tra i suoi elementi costituenti, e da quello epistemologico, che ritiene che le leggi formulate in un determinato ambito scientifico siano da considerarsi sempre come casi particolari di teorie e leggi formulate in qualche altro ambito scientifico.
Il riduzionismo ontologico è quello maggiormente accettato ma è innegabile che quello metodologico si sia rivelato utile in molti casi (basti pensare all’importanza del quark nella fisica nucleare). Il riduzionismo epistemologico invece è quello maggiormente discusso e da un lato vede coloro, come Karl Popper, che lo ritengono sostanzialmente sbagliato e dall’altro coloro che sono alla ricerca di una TOE (Theory of everything).
Rimane ora di chiedersi: in un universo governato da un insieme di leggi casuali e deterministiche, come si configura la questione sul libero arbitrio? Ad oggi non vi è una risposta univoca e probabilmente mai ci sarà, vi sono però quattro scuole di pensiero principali: libertarismo, compatibilismo, agnosticismo e illusionismo.

Il libertarismo è la concezione filosofica che sostiene l’esistenza della libertà; essa si basa fondamentalmente su quattro tesi:
– che gli esseri umani siano normalmente liberi;
– che questa libertà non si limiti al campo dell’azione, ma che riguardi anche quello della volontà e della scelta;
– che il determinismo sia incompatibile con il libero arbitrio;
– che nell’ambito dell’agire umano vi sia qualcosa di indeterminato che garantisce l’esistenza del libero arbitrio.

Di questa corrente filosofica ricordiamo Cartesio, sostenitore di un dualismo ontologico, il quale riteneva che la res extensa obbedisse alle leggi di natura, mentre la res cogitans sfuggisse da esse.
Vi è anche una variante del libertarismo che si fonda su un dualismo di carattere trascendentale, tipica della filosofia Kantiana. Ciò vuol dire che se ci consideriamo come corpi fisici non possiamo sfuggire dal determinismo ma nel momento in cui consideriamo l’uomo da un altro punto di vista, sottraendolo alle condizioni spazio-temporali e alla necessità di causalità naturale, esso sfugge dal determinismo di natura . Di tale mondo non si può fare esperienza ma esso è comunque sufficiente per concepire gli esseri umani liberi; inoltre solo in questo modo l’uomo può essere responsabilizzato.
Le principali critiche mosse a questa teoria sono quelle riguardanti l’oscurità di queste tesi; infatti sembra non esservi un motivo reale per scindere l’uomo dal resto della natura e l’indeterminismo non sembra essere una soluzione in quanto le leggi probabilistiche non sembrano permettere il libero arbitrio.

La seconda teoria filosofica che qui analizzeremo è quella del compatibilismo. Secondo questa concezione il determinismo, come suggerisce il nome, è compatibile con il libero arbitrio; essa si basa sulla seguente definizione di libertà: “La libertà è la possibilità di agire senza impedimenti o costrizioni”.
Questa concezione è stata anche al centro di un lungo dibattito teologico e a sostenerla furono Agostino(sebbene, come visto nella sezione dedicata alla Divina Commedia, e
gli diede grande importanza anche alla predestinazione) e Tommaso d’Aquino. La loro visione, che si oppone a coloro che sostengono che l’uomo non sia libero in quanto Dio è in grado di conoscere anche il futuro (che sarebbe quindi già determinato), sostiene che Dio esiste al di fuori del tempo e che quindi egli non ha già previsto le nostre azioni poiché per lui non avrebbe alcun senso il concetto di futuro; piuttosto egli è testimone delle azioni dell’uomo.
Al di fuori della concezione religiosa, un altro sostenitore di questa teoria fu Leibniz. Egli, avvicinandosi alla precedenti tesi di Hobbes, sostenne che la nostra volontà fosse completamente determinata dalle leggi di natura ma che, poiché la determinazione non coincide con la necessità, vi fosse spazio per la libertà nell’agire (infatti secondo Leibniz vi sono mondi possibili con diverse leggi di natura o con un diverso passato in cui noi agiamo diversamente dal modo in cui agiamo nel modo attuale). Secondo questa concezione sebbene le azioni siano determinate, esse non sono necessarie poiché non sono compiute in tutti i mondi possibili. Un’altra concezione compatibilista è quella di Locke; infatti secondo il filosofo gli agenti sono liberi nella misura in cui vogliono compiere le azioni, tuttavia la possibilità dell’autodeterminazione non si estende alla volontà.
Infine riportiamo la tesi di Hume secondo cui il determinismo naturale non esclude la libertà umana poiché esso garantisce il controllo degli agenti sulle proprie azioni senza che essi le debbano compiere necessariamente; infatti a suo parere, i nessi causali sono dedotti dalla mente basandosi su osservazioni della congiunzione delle cause e con i rispettivi effetti.
Vi è però un’argomentazione, mossa da Peter van Inwagen e altri autori, che mette in crisi la concezione compatibilista. Se infatti il mondo è deterministico, gli agenti non possono controllare le proprie azioni poiché per farlo essi dovrebbero controllare uno dei due fattori che le determinano e quindi le necessitano: gli eventi del passato, che sono inafferrabili, e le leggi di natura, che sono ineludibili. Pertanto gli agenti non potendo controllare le proprie azioni non sono liberi.

Le due teorie filosofiche rimanenti, l’agnosticismo e l’illusionismo, hanno entrambe una visione negativa della libertà.
Secondo la prima l’uomo non può sapere se sia realmente libero ma, poiché l’intuizione della libertà è talmente forte, non avrebbe senso abbandonare questa credenza, su cui sono basate molte nostre pratiche etico-giuridiche, a causa di un ragionamento teorico. In merito Inwagen ha affermato:
“Noi siamo tutti condannati a credere nella libertà e, di fatto, condannati a credere di sapere di essere liberi.”5
La libertà appare quindi irrinunciabile e impossibile da dimostrare. Sempre Inwagen ha asserito:
“Il libero arbitrio sembra […] essere impossibile. Ma sembra anche che il libero arbitrio esista. Perciò, l’impossibile sembra esistere”6

L’illusionismo invece è più radicale, difatti esso sostiene che il libero arbitrio sia una mera illusione. Sostenuto in ambito teologico da Lutero e dai giansenisti, in epoca moderna ha visto tra i suoi fautori Pierre-Simon Laplace, Comte e Albert Einstein; quest’ultimo in merito ha affermato: “Un Essere, dotato di superiori capacità di comprensione e di più perfetta intelligenza, che guardasse all’uomo e al suo agire, sorriderebbe dell’illusione umana di agire secondo libertà […] La legalità degli eventi […] dovrebbe forse interrompersi di fronte alle attività del nostro cervello?”7
In epoca contemporanea invece l’illusionismo ha visto tra i suoi sostenitori Galen Strawson. Egli infatti sostiene che il sentirsi liberi non sia una condizione sufficiente per essere realmente tali. Inoltre afferma che il libero arbitrio sia impossibile sia in un mondo deterministico che in uno indeterministico.

Conclusione

Dal momento che vi sono molteplici correnti filosofiche riguardanti il libero arbitrio, sebbene l’agnosticismo e l’illusionismo stiano raccogliendo sempre più consensi, la conclusione non può che essere soggettiva.
Dal mio punto di vista non vi sono motivi per credere che si verifichi una qualche forma di emergentismo e, poiché la fisica del nostro corpo è la stessa dell’universo, credo che il libero arbitrio sia un’illusione. Tuttavia ritengo che da un punto di vista pragmatico poco importi se il libero arbitrio esista o meno; qualora venisse dimostrata la sua inesistenza, bisognerebbe continuare a considerarlo come reale poiché non verrebbe meno la necessità della sua nozione per il funzionamento della società.
Citazioni
1 Isaac Newton, dalle quattro “Regole del Filosofare”
2 Pierre-Simon Laplace, Essai philosophique des probabilitàs, 1812
3 Richard Feynman, The Character of Physical Law , MIT Press, Cambridge,1965
4 Tratti da: Douglas Hofstadter, Anelli nell’Io. Che cosa c’è al cuore della coscienza, Mondadori
2010
5 Peter van Inwagen, Free Will Remains a Mistery, in «Philosophical Perspectives», 2000
6 Ibidem
7 Albert Einstein, Cit. in B. Libet, A. Freeman e K. Sutherland (a cura di), The Volitional Brain:
Towards a Neuroscience of Free Will, Thoeverton, Imprint Academic, 1999.

Bibliografia
-Dante Alighieri, La Divina Commedia, A cura di S Jacomuzzi, A. Dughera, G. Ioli, V. Jacomuzzi, Sei, Manuale Scolastico
-Claudio Romeni, Fisica e realtà.blu – Induzione e onde elettromagnetiche, Relatività e quanti, Zanichelli, Manuale Scolastico
-Brian Greene, L’universo elegante – Superstringhe, dimensioni nascoste e la ricerca della teoria ultima, collana Super ET, Einaudi, 2005 (Pubblicato in lingua originale nel 1999)
-Mario De Caro, Azione, Il Mulino, 2010 (Lettura Parziale; Capitolo 2)
-Alessandro Pluchino, Determinismo o Libero Arbitrio? Breve viaggio alla ricerca del Sé, Saggio breve

Sitografia
-http://divinacommedia.weebly.com/
-“Procrastinazione quantistica”: un nuovo paradosso per il micromondo, 2012, www.lescienze.it
-Articolo di Sabine Hossenfelder, Dieci errori concettuali in materia di libero arbitrio, 2014, www.lescienze.it

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Soprusi e manipolazioni https://www.swissact.com/soprusi-e-manipolazioni/ https://www.swissact.com/soprusi-e-manipolazioni/#comments Wed, 06 Jan 2021 07:07:33 +0000 https://www.swissact.com/?p=1738 Una storia che ha ormai più di 10 anni, ma sembra sempre attualissima e scritta oggi. Eccomi di nuovo, l’ultima volta parlavamo dell’azione di alcuni individui che vedo da secoli ripetere gli stessi soprusi e manipolazione e di altri che li subiscono.
Il metodo che utilizzano è quello di far leva sulle tendenze inconsce (la voglia di affermarsi, il desiderio di accumulo, il senso della sopravvivenza) e operativamente ciò si traduce nelle seguenti azioni:

stabilire che per avere qualche oggetto o servizio bisogna dare qualcosa in cambio (fin qui niente da dire è tutto normale)

fare in modo che questo “qualcosa in cambio” sia identificato in un pezzo di carta che di per sè non ha nessun valore (e già questo è assurdo e se analizzate la vostra storia più recente, potrete scoprire il momento esatto in cui tutto ciò è cominciato)

fare sì che solo pochi individui possano controllare il processo di stampa di quel pezzo di carta (in questo modo si possono controllare gli scambi di tutte le materie prime)

fare in modo che solo un ristretto gruppo di individui (attualmente, anno 2001 del vostro calendario terrestre, circa 500 unità) detenga la maggior parte del flusso circolante di quelle banconote

generare tramite immagini di benessere psico-fisico, indotte tramite i vostri mezzi di comunicazione, un bisogno di oggetti che vengono prodotti, in ultima analisi, dalle aziende degli stessi 500

fare in modo che per avere quegli oggetti occorra quel “pezzo di carta”.

Come potete osservare è una vera e propria strategia di potere, ma il fatto più grave è che viene messa in atto da individui che vogliono il potere solo per avere la certezza di poterla “fare franca”, hanno la consapevolezza di commettere delle azioni non etiche, ma piuttosto che ammetterlo e cercare di cambiare, cercano di prendere il potere, in modo da avere il controllo sulla situazione e non avere la sensazione di poter essere scoperti. È chiaro che una situazione simile alla fine può solo degenerare, perchè la pressione a cui vengono sottoposti gli individui per cercare di stare al passo con tutti gli stimoli che vengono ad arte indotti e creati, è fortissima e prima o poi la sensazione che per rimediare, si debba azzerare e ricominciare tutto da capo si diffonderà al punto che riterrete meglio far scoppiare tutto e riiniziare.
Purtroppo, come osservatore esterno della vostra situazione ho già visto più volte ripetersi questi eventi, quindi vi dico cercate di vedere le cose come realmente sono e ponetevi rimedio senza aspettare di dover ricominciare tutto quanto.

L’unico modo che avete è di cominciare a coltivare l’etica, intendetela come una vibrazione ancora più alta dell’estetica, vivetela come una sensazione spirituale di sentirvi giusti, senza macchia, puliti interiormente. Se metterete davanti a voi questa condizione interiore prima di ogni scelta, di ogni azione e di ogni pensiero, presto vi renderete conto che in fondo il benessere non è nel circondarsi da mille oggetti ma é nel sentirsi onesti e puliti interiormente e se sentite la necessità di qualche cosa che vi manca, non correte ai vostri shop, ma fate qualche cosa per gli altri in modo che anche loro possano gioire del vivere nella sensazione di essere senza colpa e senza macchia.

Allontanatevi da coloro che vi inducono il desiderio di qualcosa che per essere ottenuto ha bisogno di quel famoso pezzo di carta e fate in modo di stare con persone che amano il bene e il giusto. Non dico che il denaro, così lo chiamate, sia una cosa malvagia ma deve servire solo per agevolare i vostri scambi, non per dare il potere a pochi individui senza scrupoli.

State attenti anche a quegli individui che vogliono far credere che la materia sia l’unica cosa reale perché sono i messaggeri di coloro che detengono la maggior parte del denaro e non fanno altro che cercare di farvi credere che siete dei corpi fisici che hanno un cervello in grado di procurare una sensazione di essere degli esseri spirituali e così facendo riducono voi, esseri spirituali, a dei meri circuiti di neuroni facilmente manipolabili con appropriati farmaci. Non avete notato come il consumo di psicofarmaci è aumentato a dismisura ultimamente?

Non capite che anche questo è solo un modo per controllarvi? Facciamo un esempio: lavorate 8 ore al giorno, per mettere da parte del denaro per comprarvi un’abitazione, dopo qualche anno vi rendete conto che nemmeno se lavorate tutta la vita senza spendere nulla (cosa impossibile da attuare) non riuscireste a raggiungere il vostro scopo; allora vi indebitate con una banca (che guarda caso è, in ultima analisi, di proprietà di quel gruppo di 500 individui) dopo qualche mese dovete andare dal dentista per mettere a posto i denti e anche la vostra automobile comincia a darvi dei problemi, come vi sentite a questo punto?

È facile cadere nella depressione e a questo punto i vostri dottori non sanno come aiutarvi e vi mandano dagli psichiatri i quali cominciano a somministrarvi i loro farmaci, voi apparentemente vi sentite meglio e ricominciate a lavorare sempre di più producendo reddito per tutte quelle “brave persone” che fino a quel momento vi hanno manipolato.

Purtroppo è pesante dovervelo rivelare ma anche i farmaci antidepressivi e gli psicofarmaci in genere vengono prodotti da multinazionali di proprietà di quei 500.
Una soluzione esiste: conoscetevi! Cominciate ad andare alla ricerca di quelle persone che sono disposte a cambiare e che vogliono fare qualche cosa per cambiare, valutate gli amici e coloro che incontrerete, in base alla bontà delle loro azioni non in base alla quantità di denaro che sono riusciti ad ottenere, o, se si tratta di persone ricche, devono potervi dimostrare che quel denaro lo hanno ottenuto senza macchia; a questo punto create tra voi una specie di organizzazione, di comunità che, inizialmente, è solo di intenti, in modo da non sentirvi soli sapendo che ci sono persone che la pensano più o meno come voi, in seguito potete anche iniziare a creare un fondo comune dove tutti, regolarmente, verserete una piccola percentuale dei vostri redditi, così che dopo qualche anno, avrete una quantità di denaro tale da potervelo prestare con un interesse che serva solo a proteggere il denaro dall’inflazione. Questa soluzione pian piano vi porterà a sentirvi sempre più responsabili gli uni degli altri, a sentirvi uniti e alla fine svilupperete un’etica di gruppo.

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Ideologia e disinformazione https://www.swissact.com/ideologia-e-disinformazione/ Mon, 16 Mar 2020 18:45:29 +0000 https://www.swissact.com/?p=1694 Leggendo certa propaganda sembra di essere tornati a 40 anni fa, alla lotta di classe, alla guerra fredda, alla rincorsa dell’ideologia.

Sono stato sconcertato dalla campagna dei fautori dell’iniziativa sulle armi, intrisa di ideologia e disinformazione.

Argomenti come il suicidio e la violenza domestica sono troppo importanti e delicati per essere strumentalizzati così. Si parla tanto di studi scientifici, dimenticando però che in questo campo conta molto per il substrato storico, culturale, etnico, religioso, ecc… I risultati di questi studi hanno validità territoriale, e non sono automaticamente e necessariamente trasferibili e globalizzabili: ad esempio, risultati degli Stati Uniti e della Cecenia sarebbero difficilmente proiettabili sul nostro paese, dove vi è una cultura ed un rispetto delle armi che altrove non troviamo, e questo grazie alla nostra Storia.

Purtroppo il giusto e doveroso riserbo che i mass-media adottano in caso di suicidio non permette alla popolazione di avere un’informazione corretta quanto alle modalità.

Come addetto ai lavori posso affermare che la realtà è molto diversa da come la dipingono gli iniziativisti.

Se adottassimo il loro metro di misura, prima delle armi, nel Mendrisiotto dovremmo abolire i ponti con altezza superiore ai 5 metri, la ferrovia, le carrucole con gancio, le cravatte, i sacchetti di plastica, le lamette da barba, i farmaci e non so quant’altro. Rendo l’idea?

È minimalista e fuorviante ridurre un grosso problema come il suicidio o la violenza domestica ad uno dei tanti strumenti che possono essere usati per attuarli.

In Svizzera girano prevalentemente calibri 9, fucili militari e da caccia.

Se prendiamo un caso che ha fatto sensazione, la strage perpetrata alla Virginia University, questa è stata attuata con un “misero” calibro 22, quello che, per intenderci, tutti gli ultra 40enni conoscono come Flobert.

L’ultima presa di ostaggi a Parigi è stata fatta con l’aiuto di un coltello, idem per l’ultima rapina a Novazzano, idem per dirottamenti aerei.

Che facciamo? Cataloghiamo o sequestriamo anche tutti i coltelli da cucina e da tavola?

Quindi, per favore, lasciamo stare argomenti seri e gravi come suicidio e violenza domestica, che meritano ben altre risposte che non essere usati come alibi per portare avanti una ideologia che fa a pugni con la storia della Svizzera.

Dr. med. E. M.

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