Molti di noi si saranno spesso chiesti cosa spinga le persone a condividere i loro dati personali sui social network, ma una risposta precisa non credo sia facile darla. È vero che inizialmente si usavano per ritrovare i compagni di scuola e vedere che piega aveva preso la loro vita ma dopo un po’ ci si ritrovava a fare discussioni con persone che non si sono mai viste o con amici di amici con i quali, forse c’era qualche affinità.
Attualmente i social sono diventati come piazze di paese o bar dove si fanno pettegolezzi e commenti e, dal momento che i creatori delle piattaforme informatiche hanno capito il business, sono diventate anche un centro di propaganda pubblicitaria e persino di politica e quest’ultima, il più delle volte, a nostra insaputa.
Vi ricordate l’affare Cambridge Analitica di qualche tempo fa, dove venne alla luce la manipolazione di alcune scelte politiche, fatta tramite proposte mirate estrapolate dal nostro uso dei social? Di seguito cito un pezzo del libro scritto da Christopher Wylie(1), uno dei membri della società di analisi dei dati che ho citato prima:
“…Anche se molti utenti tendono a distinguere ciò che succede online da ciò che capita nella vita reale, le informazioni ricavate dal loro uso dei social – il commento al finale di stagione di una serie tv, il like a una foto del sabato sera precedente, ecc… – nascono fuori dalla rete. Quelli raccolti da Facebook, per citare il social network più famoso, sono dati sulla vita di tutti i giorni.
E non fanno che aumentare perché l’esistenza delle persone passa sempre più attraverso Internet. Questo significa che spesso, un analista non ha nemmeno bisogno di fare domande basta creare un algoritmo capace di riconoscere schemi precisi nei dati caricati dall’utente. A quel punto il sistema riesce a individuare da sé pattern che altrimenti lo studioso non avrebbe mai notato. Gli utenti di Facebook si sono radunati e organizzati da sé in un unico luogo, in un solo modulo dati.
Non dobbiamo più collegare milioni di dataset; non servono complicati calcoli matematici per ricavare le informazioni mancanti: sono già al loro posto perché tutti caricano la propria autobiografia in tempo reale, proprio lì, sul sito.
Se qualcuno avesse cercato di creare da zero un sistema per osservare e studiare le persone, non avrebbe potuto fare meglio.
Anzi, uno studio dei 2015 di Kosinski, Stillwell e Wu Youyou(2) dimostrò che usando i like di Facebook, un modello informatico riusciva a prevedere il comportamento umano senza temere rivali. Con dieci like, il sistema anticipava il comportamento di un soggetto con più precisione dei suoi colleghi. Con centocinquanta like faceva meglio di un famigliare.
Con trecento like a disposizione, il modello mostrava di conoscere quella persona persino meglio del suo coniuge. In parte, ciò è possibile perché amici, colleghi compagni e genitori hanno in genere una visione limitata della nostra vita, e si rapportano con noi in situazioni in cui il nostro comportamento è influenzato da quella stessa relazione. È improbabile che i vostri genitori vi abbiano mai visti mentre vi scatenavate alle tre del mattino durante un rave, dopo un paio di pasticche di MDMA; e magari i vostri amici non sanno quanto siete riservati e deferenti in ufficio, con il vostro capo.”
Non è difficile capire che, se si è in grado di arrivare a questi punti, diviene facile pensare che tutto quello che ci viene proposto non sia magari stato accuratamente soppesato prima e che si sia verificato magari in una simulazione virtuale prima di arrivare a noi.
Avendo gli algoritmi appropriati. si potrebbe valutare prima l’impatto di una proposta di legge, simulandola con vari scenari e poi portarla in votazione avendo praticamente la matematica certezza che verrà approvata dalla maggioranza e, peggio ancora, si potrebbero prevedere quali eventi o restrizioni sarebbero più adatti ad una determinata parte di popolazione per far si che accettino determinati sacrifici che, diversamente, non approverebbero mai.
S.S.
(1)Christopher Wylie “Il mercato del consenso” Longanesi 2020
(2)Computer-based personality judgments are more accurate than those made by humans